sabato 18 luglio 2009

Inseguire un’intuizione interiore sulla via di un’urgenza prima e innegabile _richiede tutti i mezzi verbali, scenici e corporei portati fino al fondo delle loro possibilità per afferrare, esaurire, rovesciare questa domanda irrisolta di un vuoto che ci porta alle radici della creazione. Ma i frammenti, le diverse derive di un lavoro che nasce sul campo, là dove ci si arriva in primo luogo con il sapere dei sensi , attraverso le leggi fisiche della forza, del peso, della sospensione, della flusso, del ritmo, del movimento, tutte queste derive necessitano infine, sempre e comunque, d’essere sottoposte a una legge superiore di composizione: un universo autosufficiente che si regge su un proprio interno ordine e coesione.



L’io-corpo é materia sensibile e pensante ma anche esplosiva contraddizione,
sede di conflitti tra il pensare e il sentire: l’antro dove si nascondono pulsioni primordiali, a noi stessi incomprensibili. Dice la sua verità, la grida fuori, in ogni modo più potente di quello che potremmo pensarne, che sapremmo dirne, oltre la nostra intenzione.
L’identità dunque non è una costruzione fissa e immutabile ma un territorio fragile, delicato attraversato dai movimenti multipli del pensiero e dei sensi.
Il linguaggio deve andare a toccare, ad aprire, a interrogare là dove tormenta o disturba, non dove calma o consola. Nel rapporto tra il corpo cosciente e incosciente, nel rapporto tra quello che vedo, sono, vivo o percepisco dall’interno e come mi rifletto, entro in relazione o mi scontro a contatto con l’esterno.
Ci sono sempre e comunque immagini deformanti che dialogano, interagiscono,
si insinuano in controluce nella difficoltà a trovarsi, riconoscersi, definirsi.

“ voglio andare verso l’infinito e ritornare a me stesso… Forse è già troppo tardi per ritornare.”

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