mercoledì 1 luglio 2009

Butoh dance II



































Il corpo nel butoh non é strumento d’espressione di un mondo interiore, non c’é mondo interiore da esprimere d’altronde; non c’é “io” qui a prendere la parola, non un “di dentro” dedans come interiorità ma quello che resta quando la piccola psicologia individuale, il piano della mia esistenza fisica e concreta viene meno: il piano in cui non sono ma lascio spazio.

Sono ricettacolo di uno spazio vuoto, cancellato, libero, inesistente. La danza ridisegna, crea ogni volta questo spazio in modo differente. Questo mondo plastico, malleabile che riscrivo mille volte non sarà mai uguale a sé stesso. E’ come una pagina bianca, un vuoto bianco, denso e abitato, vuoto che si rende visibile nei suoi contorni esterni come danza, al momento della scrittura anche. Quello che divengo ogni volta che sono preso, colto, posseduto, quello che sto diventando in questo momento, che già non sono più, questa massa plastica e mobile che mi ridisegna, m’afferra e mi lascia in balia di forze incontrollate.

Allora la danza, l’improvvisazione corporea, nel butoh soprattutto questa sorta di “sortie de soi” o desoggettivazione alla ricerca di uno spazio-tempo altri, ci portano più vicino al margine di jouissance, a quella cosa essenziale che l’arte, in fondo, non ha mai smesso di cercare.


Note liberamente tratte dall'antologia  a cura di Odette Aslan, Beatrice Picon-Vallin, Butoh (CNRS Editions 2002)

« Tout sauf le Moi » [1]

Attraverso il respiro e l’esercizio del cammino, un cammino particolare che ci conduce a uno stadio d’estraneità dall`attuale, ritroviamo un corpo di pietra: corpo animale, minerale, libero, vuoto. L’essere non cessa di decomporsi in questo cammino a ritroso dove la danza butoh ci riporta.La pulsione è nell’istante; non puoi esitare li’, farla correre via, non puoi permetterti di indugiare, trascinarti, non sentire. La memoria è dentro ogni singola molecola di corpo, dentro questa reminiscenza ancestrale inscritta nelle cellule di un io vivente.

Il movimento nel butoh è questo: risalire alla memoria organica dell’essere inscritta in ogni singola cellula attraverso il più semplice dei gesti.
Questi corpi individuali stabiliscono una connessione con un corpo ancestrale, arcaico di cui ritroviamo la memoria dei nostri gesti più comuni (là è forse la sua poesia).
Da qualche parte, siamo rotti, frammentati, decomposti in mille pezzi o in mille forme possibili come cellule organiche, originali, incontenibili che si disperdono da tutte le parti attraversando il tempo e lo spazio. La forma non cessa di disfarsi dentro un’unità che si difende a fatica come un’immagine sospesa in fragile equilibrio di fronte al mondo.


Al di là del corpo come luogo ideale, come l’immagine-forma di un io sublimato, portato all’ennesima potenza dalla perfezione tecnica dell’interprete-danzatore nel butoh si parla di stati non conformi all’ideale, come del dolore di un corpo che si cerca e non si trova, il malessere del sé,ciò che scava, lacera e brucia segretamente nelle membra, il fastidio di quello che non smette di espandersi, debordare, disfarsi contro i limiti di un corpo ideale, contro l'invulnerabilità di una forma costituita.

Nel Butoh, si dice, tutto danza tranne "l’ io" e si percorre questa via a ritroso verso uno stadio d’energia particolare: un punto d’annullamento del peso corporeo, svuotato da ogni appartenenza, pronto a cogliere l’istante di quello che si presenta: quell’impulsione che passa e prende forma e di cui nulla si conosce se non l’istante del suo manifestarsi.
Al contrario,  l’io diviene punto di partenza dell’impossibilità d’essere o di trovare una forma e, allo stesso tempo, della lotta disperata e vitale per riuscirvi. Passaggio costante tra dispersione e identità, tra fusione e identificazione.Danza della crudeltà: danza che tocca al dionisiaco e scuote l’inerzia soffocante di un “dover essere” giusto o corretto in una pratica acquisita e codificata di movimento .
Non si teme qui d’esplorare fino in fondo la sensibilità nervosa nelle sue vibrazioni imprevedibili: fremiti, sussulti, effroi, terrori improvvisi, la discesa nelle nostre paure primordiali.
La  danza può attraversare le isterie incontrollate del corpo, i suoi pieni e vuoti,la mancanza e l’eccesso, il disequilibrio in cui allora questo ci getta,i liquidi, gli umori e i loro scompensi, il magnetismo animale, la crudeltà latente delle spinte sconosciute all’umano.
Corpo di vecchio, uomo o donna, animale o bambino, del maschile e del femminile insieme : in una sorta di suggestione ipnotica tutti i corpi possibili sono evocati, le possibilità e le sofferenze di tutti i corpi a resuscitare.


[1] Cfr Odette Aslan, Beatrice Picon-Vallin Butô, CNRS Editions 2002

Nessun commento:

Posta un commento