venerdì 29 marzo 2024

Vertigo, video scenarios of rapid changes ( al Mast di Bologna)







Si parla di accelerazione, di velocità, di quel cambiamento rapido e irreversibile che in vari ambiti della società industriale oggi rischia come un vortice inarrestabile di risucchiarci nella mostra “Vertigo” al Mast di Bologna fino al prossimo 30 giugno. Si tratta di opere video selezionate e presentate nelle sei sessioni tematiche corrispondenti agli ambiti più rilevanti del cambiamento della società attuale tra i quali il lavoro, il contratto sociale, i nuovi comportamenti, la comunicazione, infine l’ambiente naturale . La video-arte, vale a dire l’immagine in movimento palesemente utilizzata oggi come strumento di comunicazione alla portata di tutti e qui scelta come linguaggio veicolare costituisce, secondo il curatore Urs Stahel, il mezzo artistico più indicato per rispecchiare gli attuali scenari in mutazione, la vertigine quasi provocata da tale accelerazione continua dei processi. Gli artisti rappresentati spaziano tra diverse generazioni e aree geografiche, da personalità indiscusse come Richard Mosse o Douwe DiJkstra ad altre emergenti  o meno note sulla scena internazionale.

A partire dagli ultimi cinquant’anni il processo di industrializzazione sembra essersi spinto a velocità sempre più folle nella corsia preferenziale dell’alta tecnologia, della digitalizzazione, nell’aumento esponenziale del calcolo computazionale. Mentre sempre più i processi di produzione, lavoro e gestione dei dati sono affidati alla mediazione delle intelligenze artificiali, anche i mezzi di informazione tradizionale vengono gradualmente sostituiti dagli strumenti digitali:  scrittura e calcolo delegati alle macchine, la comunicazione scritta divenuta sempre più sintetica e obsoleta, la memoria supportata dalle tecnologie. Da un altro punto di vista, la società dei consumi, nella sua corsa sfrenata al profitto e alla produzione volta a incrementarlo deve fare oggi i conti con la crisi climatica globale che mette in discussione la nostra stessa continuità e sussistenza come specie sulla terra.  Ultimo tema del cambiamento in atto, quello del rapporto a un’idea di verità per l’uomo contemporaneo, tradizionalmente coincidente con la parola di Dio in una relazione verticale del Verbo rivelato da Dio all’uomo in maniera profetica e assoluta. Sempre di più oggi, il concetto di verità diviene relativo, frammentario, aperto a un’infinità di interpretazioni e dunque dandosi in un rapporto orizzontale all’ uomo anziché in una relazione gerarchica, assoluta e rivelatoria.  Ebbene in questo mutato rapporto alla verità, nel momento in cui l’essere umano imprime le proprie verità o meglio la adegua ai propri bisognie desideri in una sfera del tutto terrestre, plasmandola e modificandola a proprio piacimento, ebbene in questa traslazione in orizzontale accade e si realizza palesemente il nuovo scenario ontologico e sociale di oggi: rapido, tecnologico e accelerato conducendoci spesso a una vertigine di senso. 


Lavoro e processi produttivi   



Wang Bing, “15 hours” (2017)

Quindici ore di video, un unico piano sequenza, un documentario girato in presa diretta in un solo giorno di lavoro nella fabbrica di indumenti della provincia cinese di Zheijang dove sono impiegati 300 mila lavoratori migranti dalle province limitrofe.  Monumentale e ipnotico il tema del lavoro si snoda nella sequela ripetitiva e interminabile del quotidiano dove questa massa di individui appaiono intrappolati, parte di un meccanismo smisurato e distruttivo che li fagocita e li divora giorno dopo giorno senza che possano far nulla per impedirlo. Il video fa luce e denuncia in maniera implicita le condizioni alienanti di lavoro nella Cina d’oggi lasciando semplicemente parlare le immagini. Uomini e donne si raccontano di fronte alla telecamera lasciando trapelare stralci dei loro dialoghi oppure le conversazioni quotidiane, reali che scandiscono le interminabili ore di lavoro nella fabbrica sullo sfondo della sequela anonima di produzione a catena.  Simile a una sorta di Cinemà-verité il video sembra rivelare nella più banale e apparente normalità del quotidiano_ una realtà accettata, vissuta o subita come norma per coloro che sono parte del meccanismo_ la portata anonima e alienante del processo produttivo delegato a un sistema industriale, capitalista e globale fuori dal loro controllo.

Ali Kazma, “Tea-Time” (2017)






Turchia: l’inferno infuocato di un’importante manifattura di vetri è filmato da Ali Kazma simile a un concerto orchestrato da un’infinità di ingranaggi arroventati, leve e processi automatizzati nel flusso ininterrotto, permanente e ritmato della produzione. Rosso è il colore dominante nel video, il rosso del fuoco arroventato nei processi di fusione e condensazione del vetro che si plasma nei differenti oggetti e utensili, il rosso infernale anche del frastuono incessante, dei rumori cadenzati e a ripetizione, del cigolio ripetitivo delle ruote motrici. Infernale, apocalittico, incendiario il video passa dagli scenari arroventati della manifattura alla melma stagnante delle scorie che permangono nel post-produzione .

Anna Wit, “Unboxing the future” ( 2019)




All’interno della fabbrica della Toyota il video inizia come una discussione aperta tra alcuni dipendenti sul futuro del lavoro in transizione di fronte ai processi di automatizzazione e le nuove intelligenze artificiali: software programmati per svolgere i più basilari task sostituendosi al lavoro umano.   Tuttavia, sullo sfondo grigio e asettico di macchinari e ingenti sistemi di produzione automatizzati dove il lavoro si dispiega anonimo e ripetitivo in ugual misura svolto dagli esseri umani e dalle macchine, appunto contro quello sfondo alienante alcune azioni performative cominciano comparire inaspettate nel video. Questi stessi soggetti filmati, d’un tratto, decidono di tagliare le loro uniformi stendendo poi pezzi di tessuto al suolo come attraverso un gioco di bambini innocenti e divertiti. Nell’immagine successiva suonano musica, chitarra e batteria in una band all’interno della fabbrica. Sullo sfondo di alienanti meccanismi industriali iniziano a riscattare la propria anima, ritrovano un respiro attraverso alcuni movimenti lenti e misurati di Tai chi. Inaspettatamente rovesciando i presupposti iniziali del video si strappano le uniformi e danno spazio, respiro e libertà alla propria individualità, anima e corpo nel mondo. Iscrivono quella traccia dell’esserci e dell’esistere al di fuori di numeri e macchine, al di fuori del ventre enorme della fabbrica in cui sono fagocitati e risputati come pedine di un grande meccanismo oltre la loro portata. Semplicemente con un gesto si liberano dall’oppressione di quella realtà in una coreografia orchestrata e collettiva.

Nuovi Comportamenti: “Kapitalism”, Paulien Oltheten, (2016)


L’enorme impatto che la rivoluzione digitale esercita sulla società attuale_ il capitalismo globale fondato sulle nuove tecnologie_ altera inevitabilmente anche i comportamenti sociali in una transizione che non è soltanto economica ma anche dei modelli e dei valori nel crescente relativismo occidentale. “Vertigo” in questa sezione della mostra mette in evidenza la frenesia della riuscita, l’affanno senza limiti nell’ossessione all’ascesa nella scala del successo,del profitto e della carriera sacrificando nel mentre quella sfera personale e affettiva, quell’insieme di piccole cose che chiamiamo vita.  Simile a una vertigine che risucchia e divora il tempo necessario per fermarsi e riflettere sul senso e il valore delle cose. In antitesi allo stile frenetico in cui siamo immersi, “Kapitalism” mostra una panchina deserta dove campeggia a caratteri capitali una scritta nera in grassetto e un uomo non più giovane d’età si avvicina  facendo esercizio fisico per mantenere in movimento il proprio corpo. Una panchina desolata sullo sfondo di un parcheggio industriale e un pezzetto di prato verde intorno si erge lì, come un unico barlume di speranza sul paesaggio arido intorno per dare voce a coloro che sono stato scartati, espulsi o demansionati dal lavoro a causa dell’età o della crisi economica. Si erge lì in mezzo al nulla come una scintilla di luce, un momento di pausa e di quiete, uno spazio per fermarsi, riflettere e decidere; l’immagine di un pendolo che amplifica ogni secondo apparentemente insignificante della nostra vita come centrale, unico e irripetibile.

Sven Johne, “The long way home”( 2016)







Un uomo guida un’auto nella notte per tornare a casa, sopraffatto, esausto nella mente e nel corpo, mentre notizie terrificanti di cronaca risuonano trasmesse dalla radio sullo sfondo. La voce fuori campo del video ci racconta che non dorme da giorni, sovraccarico di lavoro, teso e estenuato dalla stanchezza. Per questo il medico gli ha consigliato di “prendere la strada più lunga” e sicura per tornare a casa, di prendere una pillola e cantare una ninna nanna per addormentarsi come un bambino. Guida nella notte confuso, smarrito, con il volto in primo piano immerso nella totale oscurità della scena. Gli hanno detto di cantare una ninna-nanna prendendo la via più lunga per tornare dopo il lavoro. Canta a bassa voce una melodia infantile lenta e cadenzata per trovare quiete e respiro, il sonno che non può avere; canta per ritrovare una via di salvezza oltre i fantasmi della sua mente e il terrore silente della notte riempito di voci minacciose  nella solitudine che lo circonda.

Contratto sociale: Julika Rudelius, “ The only reason”…(2019)



Quartieri popolari deturpati nella Central City East di Los Angeles scorrono attraverso tre grandi schermi in immagini parallele che proseguono l’una accanto all’altra attraverso inquadrature singole, doppie o triple restituendo una visione complessa e segmentata. La videocamera scivola lenta attraverso le strade e i marciapiedi senza soluzione di continuità inquadrando perlopiù individui senza fissa dimora che bivaccano sui marciapiedi o altri in preda a deliri di tossicodipendenza. Mentre tende, cartoni e stracci per dormire in strada compaiono in primo piano si intravvedono a distanza tutt’intorno solide architetture inaccessibile a loro. Tendopoli contro cui sfrecciano lussuose limousine e, ancora più lontano la città scintillante dal lusso sfrenato di Hollywood. Come mostrato implicitamente  dal video il neoliberalismo senza limiti in America produce enormi derive sul contratto sociale e una società radicalmente divisa tra monopoli di potere e le fasce più basse  di diseredati senza alcuna  protezione sociale.  

Ambiente Naturale : Will Benedict, “All bleeding stops eventually”, (2019)





Nei brevi video animati e surreali alcuni animali appartenenti a una specie a rischio, il sole e la luna stessi si rivolgono direttamente agli umani i per affidare a loro un messaggio importante sulla natura, la crisi ambientale  e il cambiamento necessario per salvare la terra dalla distruzione e preservare la continuità della specie. “A che cosa serve l’oceano? A dare un ritmo a tutto ciò che è selvaggio e confuso? Immaginate l’oceano come l’origine di una nuova identità: ciò che vi permette di abbandonare l’esperienza coloniale del passato per il nuovo quartiere generale di un’etica globale nella quale identificate l’oceano come parte integrante di voi”. La voce degli elementi si incarna attraverso la parola data al sole e alla luna nella necessità di divenire parte integrante della natura superando quella posizione di separazione o di incontrastato predominio che ha sempre contraddistinto l’uomo nel suo modo di rapportarsi al mondo naturale. Solo prendendo questa strada sembra dirci il video per citare il titolo, “ ogni sanguinamento terminerà alla fine” e potremo, infine, iniziare a spargere i semi di un nuovo futuro attraverso un’etica globale più solidale e costruttiva per l’umanità e l’intero pianeta.




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