domenica 18 febbraio 2024

LUDOVICA CARBOTTA “ Very well on my own” AL MAMBO DI BOLOGNA








“Very well on my own” titola la mostra ontologica della giovane artista torinese Ludovica Carbotta attualmente in corso al Mambo di Bologna fino al 5 maggio nell’ambito di Art City, traducibile con l’espressione: “molto bene per conto mio”.  Filo conduttore della selezione d’ opere, infatti, come allude il titolo, è l’individualità, la sfera privata di ciascuno di noi in quanto spazio intimo e personale insieme da  preservare e mettere in relazione con l’esterno: la città, le istituzioni ma anche i social media nel rapporto complesso che oggi intratteniamo con i medesimi. Contro la  ricerca ad ogni costo di visibilità per il singolo _ la nostra costante sovraesposizione sul web e i social _ si erge l’affermazione di una qualche forma di privacy come difesa contro l’ingerenza del mondo esterno che nel suo punto limite coincide con la scelta all’auto-isolamento . Da tale dicotomia trae origine il lavoro dell’artista torinese nella sua prima mostra ontologica che ripercorre i lavori degli ultimi quindici anni spaziando liberamente tra scultura, performance, installazione in sito e video.


Pensare come una strada




La città è il luogo per eccellenza dove l’individuo e l’ambiente si influenzano a vicenda e  si plasmano l’un l’altro. Le città definiscono il nostro campo d’azione secondo l’artista e entrano nello spazio individuale modificandolo. La città, dunque, appare in una serie di pratiche artistiche di Carbotta come uno spazio fisico da filmare ma anche e soprattutto come uno spazio concettuale da indagare attraverso l’immagine video o l’esplorazione fisica del corpo.

Già all’inizio della mostra, all’ingresso della grande Sala “Cast block” si pone come una barriera fisica e architettonica in gesso gettata lì al suolo per impedire o comunque rendere difficoltoso, problematico il passaggio dei visitatori. Creare un ostacolo nello spazio significa problematizzarlo, renderlo un oggetto di riflessione , quasi uno scontro o un inciampo per il pensiero, mai comunque un percorso ovvio e scontato. Quasi che lo spettatore dovesse trovare un modo per circumnavigare l’ostacolo, una strada per accedere alla poetica non immediata  dell’ artista, o ancora trovare una soluzione al quesito spaziale qui sollevato.

In “ Il viaggio è andato a meraviglia” assistiamo a un piano sequenza lungo 120 minuti su uno scorcio di strada urbana mentre la Carbotta si pone immobile e a distanza nel video sostenuta da un lampione come cercasse una fusione con lo spazio urbano fatto di suoni e movimenti sulla cornice immobile dello sfondo.  Quasi nel tentativo mimetico di divenire parte integrante di quello spazio che si muove nonostante la sua presenza, l’artista si pone in maniera neutrale, senza esporsi con la propria individualità per osservare invece il movimento omogeneo  delle cose intorno a lei. Ironicamente l’idea di un viaggio “andato a meraviglia” si realizza nell’immobilità del piano sequenza sulla strada.

La città altrove si presenta attraverso la polvere e la sporcizia  delle strade che divengono parte integrante dell’opera in  un’azione performativa all’origine di “Invisible Modulor” (2009). L’artista cammina a piedi nudi sulle strade limitrofe lo studio, poi imprime la tela in modo del tutto casuale con impronte di piedi e di mani dando vita a questa improvvisazione  astratta in beige e in grigio: l’impronta stessa della città sulla tela data dai suoi pulviscoli, dai suoi detriti, dalla luce, infine dalla materia stessa che la compone.


 

 CRESCERE A DISMISURA ( nel corpo e nella scultura)

Il corpo compare al centro dell’allestimento “site-specific” al museo bolognese nell’installazione “Images of others have become parts of the self” (2004) Come il sottotitolo “ crescere a dismisura” allude,  il corpo dell’artista è il punto di partenza, il principio generatore di tale installazione. Allo stesso modo in cui le immagini degli altri o ciò che essi rimandano di noi_ in altre parole il riflesso dell’ambiente esterno_ diventano parte integrante dell’io, una struttura lignea prende forma visibilmente nella sala espositiva, espandendosi in altezza e incorporando orizzontalmente altri supporti in legno per tradurre concretamente tale dinamica concettuale. Una grande impalcatura lignea al centro della galleria si erge verso l’alto sostenendo  il peso del corpo e le sue proiezioni dall’esterno all’interno dell’individuo con l’intento di crescere in altezza il più in alto possibile secondo le intenzioni della Carbotta.




“Paphos” ( 2021-24)

Ancora di crescita si tratta nella serie “Paphos” ma questa volta relativa alle sculture viste come costante evoluzione e modifica di un modello originario sottoposto a una serie di distorsioni e aggiunte nel tempo per dare vita a creature ibride che non smettono di incorporare gli oggetti che incrociano sul loro cammino e i materiali più svariati nella loro composizione. Ogni scultura della serie incorpora in sé l’idea di crescita attraverso i più desueti oggetti presi dall’ambiente circostante come sgabelli, metri, materiali di lavoro che finiscono per divenire parte o rimanere impigliati, intrappolati per errore ai manufatti originari di bronzo, ceramica o resina ad acqua. 

La forma originaria della scultura è così manipolata nel tempo dall’artista sempre allacciandosi a un’idea di evoluzione ma anche di casualità, inciampo o contingenza del tutto aleatoria. Così troviamo la serie in triplice copia in ceramica verde “One thing after another” oppure ancora l’allestimento di oggetti incorporati alla scultura; “ Where one ends the other begins”.

I Telamoni ( 2020-2024)






















Come scrive Carbotta: “ C’è una serie del 2020, “i Telamoni”, un gruppo di sculture realizzate con diverse tecniche e legate a personalità diverse della famiglia Telamoni: figure identificate da forme diverse per età, genere e ornamenti a cui sono arrivata lasciandomi guidare dai ricordi e dando così una forma fisica al tempo”. Si tratta di una famiglia di sculture discrepanti, diversissime tra loro, idiosincratiche dal modello che ci si attenderebbe, al limite, al margine quasi in alcuni casi tra materia e forma scolpita, tra figura e fondo, tra il rappresentabile e l’irrappresentabile del loro ultimo e indefinito apparire. Appaiono così, guardandosi a distanza l’un dall’altro nello spazio in una sorta di composizione d’insieme malgrado tutto come membri di una famiglia dispersa; loro distanti, separati e agli antipodi l’uno dell’altro eppure in qualche modo connessi, per una stessa energia di relazione, per quella sorta di legame magnetico e primario nel quale si innestano i vincoli famigliari.  Come afferma Carbotta, i Telanomi sono “segnati da un peso che proviene dal proprio passato”. Così, il peso effettivo di queste statue che si stagliano come blocchi di gesso immensi e isolati l’uno dall’altro eppure in connessione nella grande hall del Mambo  corrisponde a un peso “emozionale”: una sorta di carica emotiva che anima ogni membro della famiglia in relazione agli altri. Mettendo in discussione il vincolo biologico, cioè la diretta filiazione dell’uno dall’altro o da un modello si realizzano  in nuove emergenze concrete e simboliche, nelle più svariate posture, in alcuni casi in mutilazioni di membra, sempre e comunque nel proprio unico peso specifico. Decidono insomma di autodeterminarsi con una singola personalità e storia interiore che si traduce in una forma fisica e scultorea ben precisa; ognuno a sé, distante, isolato dagli altri eppure nonostante tutto in quello spazio comune di connessione.

In definitiva attraverso i più svariati mezzi espressivi, il video, l’installazione o la scultura l’artista torinese continua a disegnare coreografie del corpo all’interno dello spazio, sia esso quello fisico della città, oppure quello intimo e personale della propria sfera d’azione in quanto opposto a una pubblica visibilità condivisa sul web. Sempre e comunque attraverso  il suo lavoro Carbotta crea e dà vita a una serie di spazi immaginativi, fittizi, costruiti attraverso la pratica artistica che necessariamente interrogano aprono una riflessione sul singolo e il modello di società esistente,  forse suggerendo un’alternativa ancora possibile _ una personale idea di spazio e comunità_  per lasciare infine gli spettatori trarre le proprie conclusioni. 


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