1-Ligabue,
Self-Portrait
L'autoritratto
è diario intimo per Ligabue, in primo luogo necessità interiore, senza dubbio
unica forma di rispecchiamento del sé nei diversi momenti e stadi esistenziali
di una vita segnata dalla sofferenza e dalla reclusione. La figurazione serrata
e introspettiva del volto racconta a tratti il malessere, l'angoscia o lo
smarrimento dell'io sempre più soggetto nel corso degli anni a una deformazione
espressionistica dei tratti. E' l'emozione che lacera o dilania la realtà in
quanto percepita a dare tale visione sempre più estrema del sé.
Due
ritratti.
1957-
Il volto è impresso sulla tela emergendo dal resto della figura in piedi, a
mezzo busto. Espressivo, segnato da profondi solchi sulle guance, esso appare
scarno, scavato da rughe marcate sulla fronte
mentre il naso prominente emerge insieme agli occhi grandi, aperti sul
mondo, infiammati di follia o di ardore
verso la vita. Le orecchie a dismisura sono lì per captare la realtà coi sensi, gli occhi immensi per assorbire il mondo attraverso il
suo sguardo.
1962-
Il paesaggio diviene mosso alle sue spalle, sfuggente, instabile come il fluire
incontrollato delle sue emozioni. Gli occhi sono ora trasparenti, lavati di
pianto, grandi e vitrei come lagni immobili d'estate. Riflettono una realtà
dolorosa, a tratti violenta percepita all'esterno in ogni suo angolo o abisso dove lasciarsi precipitare. Il volto solo
appare in primo piano nel piccolo
ritratto come in un ingrandimento voluto mentre il resto della figura tende ad
eclissarsi. Emergono in evidenza il naso imponente, gli occhi brillanti e vuoti
e i capelli neri, corti e radi. Le scavature sulle guance sempre più profonde.
2- Diario
intimo
Paesaggi
del cuore, memorie dei luoghi d'infanzia in Svizzera. Memorie di quello che era
nei primi anni di vita trascorsi prima del ritorno in Italia dove iniziano per
Ligabue con la giovinezza i ripetuti ricoveri negli ospedali psichiatrici.
Eppure la memoria confonde, l'occhio interiore trasforma e i colori divengono
quelli della mente, del cuore: i campi si colorano di gialli e aranci, i buoi appaiono
giocosi e chiazzati , il villaggio fiabesco con le case irreali, gialle,
celesti o rosate.
3- “Ritratto di donna” (1960)
Ligabue era solito dipingere ritratti di amici, benefattori e conoscenti; li ritraeva a mezzo busto, soffermandosi sulla dimensione intima del volto, sull'espressività di un dettaglio, cercando l'intuizione sulla loro più autentica natura.
4-
Animali selvaggi
Alter-ego
all'artista per spezzare le catene della reclusione e dell'isolamento.
Rapaci predatori come i leopardi o le tigri incarnano l'istinto di sopravvivenza e di dominio, la lotta verso l'affermazione della vita e di un potere incondizionato. Per esempio nel desiderio predatore dei leoni o delle tigri sulle gazzelle.
“La
tigre con gazzella” del 1959 rappresenta perfettamente questa animalità pura e
istintuale, “buona” o innata dell'essere umano, la forza dell'animale di
potere, guida totemica per l'umano.
La
tigre qui è anche la gioia della voracità del felino sulla più piccola preda:
le fauci digrignate, pronte a divorare la gazzella mentre il momento è
vissuto senza colpa né coscienza sullo
sfondo di una giungla irreale che veicola e dà libero corso a questo istinto
selvaggio dell'essere umano.
La tigre è la regina ( “Testa di tigre”, 1956)
Su
uno sfondo diviso tra cielo e terra il felino
in primissimo piano guarda d'avanti a sé con le fauci spalancate. La
bocca emerge come una voragine ingigantita e aperta sul fondo dell'abisso, senza
dubbio in chiaro punto di contatto con le forze viscerali della sua pittura.
Evoca l'abisso, il tabù inesplorato della forma sessuale femminile ma, anche la
forza prima e distruttiva che veicola e
sublima la sua arte. Tutto è centrato su quell'abisso per Ligabue: la follia,
l'irrazionalità, la pulsione di vita e quella sessuale contro il suo opposto di
morte. Tutto converge in quella bocca e fauci anatomicamente disegnati al
centro della tela nella cromia possente dei colori, rosso, marrone e nero che
riprendono il manto colorato dell'animale e
lo reinventano in una semantica propria.
5-Scene
di caccia: “Lotta di cervi”(1955)
La
tensione emotiva cresce portata all'estremo dall'espressionismo figurativo dei
due animali. Testa contro testa, morte contro vita, gli occhi piccoli e
brillanti in primo piano, i due cervi si fronteggiano in un faccia a faccia
violento e vitale. Alle loro spalle è una tigre vorace dalle fauci spalancate.
I cani impauriti retrocedono . Gli alberi esplodono in vegetazione rigogliosa e
fantastica dando vita a un paesaggio lunare. Un mondo alla rovescia si lascia
plasmare dalla violenza della scena, dalla visione vivida di un duello tra vita
e morte. Sempre, in queste tele qualcosa esplode e cede, lascia aprire i propri
cardini in una lotta all'ultimo respiro; qualcosa lacera i sigilli della
razionalità e lascia fluire la lotta prima tra coscienza e forze oscure al di
sotto: violenta esplosione di irrazionale.
Tutte
le tele di Ligabue in definitiva dilatano in primo luogo una necessità di
espressione personale, istintiva e non costruita che si pone agli antipodi di
tanta arte del '900 astratta e
d'avanguardia della stessa epoca. Incarnano una natura, la sua, dove animali
selvaggi o domestici sono alter-ego all’umano, creature antropomorfe che danno vita
a un mondo fantasioso specchio della sua personalità. La pittura è per Ligabue
l’ unica forma di sopravvivenza e riscatto dalla marginalità e dalla malattia, forse
anche un modo per veicolarne gli istinti più distruttivi e trasformarli in
energia creatrice. Un'arte catartica, visionaria e assolutamente impregnata
della sua sofferta condizione esistenziale.
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