Temi e immagini, figure e personaggi della Commedia restituiti dal genio poetico di Dante hanno continuato a
dominare nei secoli l’immaginazione collettiva oltre che a ispirare la
figurazione plastica o pittorica di molti artisti e scultori. Vale a dire se
non è forse possibile comparare due mezzi di espressione tanto diversi quanto
la parola, il verso nella sua evocazione poetica e la rappresentazione visiva, molti
artisti nel corso dei secoli si sono confrontanti alla potenza visionaria della
Commedia dantesca, opera dove la
realtà storica è costantemente riflessa in quella ultraterrena e viceversa mentre
i ritratti dei più noti personaggi delineati in pochi tratti poetici restano
vividamente impressi nella memoria collettiva. Lui, Dante, poeta esule nel viaggio di ascesa dell’anima
dal peccato alla salvezza diviene interprete e mediatore della cultura classica
e, insieme,della rivelazione cristiana alle radici della nostra civiltà moderna.
L’intreccio tra arte sacra e
rappresentazione della dimensione ultraterrena coincidono spesso in epoca medievale
spostandosi, invece, in epoca moderna verso un’interpretazione astratta, una
rilettura sempre più simbolica di temi e figure tratte dall’opera dantesca,
come vediamo nell’estetica simbolista o nella pittura preraffaelita
inglese. Certo la Divina Commedia come tutta l’opera di Dante continua a costituire
una fonte inesauribile di ispirazione, di citazione pittorica, di rilettura
anche distante o rinnovata rispetto all’originale tanto che l’arte in tutte le
epoche non può prescindere da riferimenti immaginativi o plastici a una delle
pietre miliari della nostra poesia e cultura occidentali.
SCRITTURA PER IMMAGINI A PARTIRE DALLE OPERE VISTE…
Dante Gabriel Rossetti, “Il saluto di Beatrice” (1828)
La vede in tale figurazione antica
rivestita dell’aurea della donna che in un momento sublime d’amore folgorò il giovane
Dante e gli concedesse il saluto, fonte di beatitudine. Il poeta volse poi quella
visione in pura poesia lirica ne “La Vita Nuova” fino al momento della morte
della donna amata che lo condusse alla trasfigurazione dell’amore terreno in
strumento di elevazione spirituale: “fondamento di salvezza eterna”. Beatrice, la donna simbolo di spiritualità e di
grazia divina tanto da farsi tramite alla visione di Dio ne Il Paradiso, resta il fulcro intorno al
quale si dispiega in Dante la forza propulsiva d’amore_ dunque l’ispirazione
poetica- dall’umano al divino.
L’artista Dante Gabriel Rossetti in epoca simbolista rappresenta la sua musa con una simile aurea di spiritualità e mistero: la bianchezza sensuale della tunica le cinge la vita, lo sguardo enigmatico e sfuggente cela un qualche imperscrutabile segreto, quasi fosse un’apparizione sovrannaturale.
Felice Casorati, “ Per sé e il suo ciel concepe figlia"
( Dante Purgatorio 28) 1917
“Intendiamo ribadire che la bellezza
è il volto della verità che solo per suo mezzo [..] ai poeti si rivela ciò che
nessuna scienza o filosofia chiarirà mai: l’ombra dell’ombra, la luce della
luce, la vita e l’amore, la morte, la terrestre umana e la celeste anima del
mondo nel suo più puro mistero..”
Visione simbolista, la donna ricoperta di una tonalità acquorea è
quasi dea, ninfa immersa in un fondale bluastro intrecciato di tocchi di rosa che evoca
un campo fiorito, il baluginare di tante piccole scintille su uno sfondo blu
oltremare, e ancora, onde fluttuanti sulla tela. Il corpo della donna è immerso
in questa tonalità irreale, bluastra e onirica, che evoca la profondità
soggettiva di un inconscio mare-vita-memoria. Solo un piccolo involucro rosa
compare in forma astratta tra le sue braccia
evocando la nascita, la nuova vita che potrebbe prendere forma mentre lei
volge lì il suo sguardo completamente assorta in quella visione. Un’ondata oscura,
tenebrosa è alle sue spalle pronta a travolgerla, ancora invisibile ai suoi
occhi ora. Il colore astrae le figure su
questo sfondo vuoto, luccicante e simbolista che evoca il sovra-sensibile oltre
la realtà storica, mentre l’idealità diviene più importante della realtà naturalista.
Una ninfa è distesa come ombra, appena visibile tra le linee in basso nella
seconda tela di Casorati mentre il quadro rappresenta una visione d’alberi e
solo in un momento preciso allo sguardo compare questa altra figura celata:
visione a specchio, salto verso una seconda realtà che si cela per i simbolisti
dietro quella apparente e manifesta.
Canto
V dell’Inferno, le ombre di Paolo e Francesca…
Ary Sheffer, 1835 |
Lecompte de Nouy, (1863) |
male e inviate secondo la gravità delle loro
colpe in sempre più atroci gironi infernali. Eppure l’incontro con Paolo e
Francesca travalica, soprattutto nell’interpretazione moderna la dimensione medievale
di colpa per lasciar emergere l’ombra di
queste due anime gentili arrese all’amore “ch’al
cor gentil ratto s’apprende”, quell’amore di matrice cortese che amando fa
si che non si possa non essere riamati e che condusse i due “ ad un morte”. Ancora ” nel regno
infernale come vento impetuoso travolge le due anime all’unisono in un impeto
che “non li abbandona”. Svariate le interpretazioni
pittoriche del celebre canto nel corso dei secoli, rilette in maniera
differente a secondo dello spirito e pensiero dominante nelle diverse epoche.
Nella tela di Ary Scheffer( 1835) “Le
ombre di Paolo e Francesca appaiono a Dante e Virgilio” immerse in
un’oscurità infernale priva di ogni lucore e speranza eppure avvolte in questo
abbraccio travolgente, quasi portate da una folata di vento, all’unisono in una
visione romantica, sublime e anti-medievale della passione amorosa. Nella tela
di Lecomte de Nouy (1863) il romanticismo è ancora più esasperato là dove la
visione dell’estati amorosa coincide con la sofferenza della pena infernale
evocata mentre i due corpi sono sempre più avvolti in una stretta che costantemente
ricongiunge unione e lacerazione. Traspare
dalla tela il senso di qualcosa che
travalica i limiti dell’umano, l’impeto di una passione assimilabile all’infinità
della natura, intrisa di un sentimento di sublime romantico. Ancora nel 1888
nella versione simbolista di Mose Bianchi le figure dantesche come vere e
proprie icone appaiono estasiate, rapite su uno sfondo aureo, sospese e
fluttuanti su un piano irreale tendente al sogno o al mondo spirituale oltre
ogni realismo.
Gaetano Previati, “il sogno”, (1912).
Sacha Schneider, “Giuda Iscariota”, 1923
Sacha Schneider, 1923 |
Figura intera, ritratto o auto-ritratto
moderno: il corpo è nudo, essenziale su uno sfondo oscuro mentre alle spalle
sono una croce rovesciata, ombre informi alla deriva. La testa è reclinata
quasi non potesse guardare dritto di fronte a sé per il peso della colpa;
avanza in cammino imprigionato, arrestato da una corda sottile, rossa e
intricata che ne circuisce il petto, le spalle, il torso, la schiena. Rosso è
il filo che lega Giuda alla sua condanna, al suo tradimento, come rosso è il sangue di Cristo colante sulla
croce nella sua passione, morte e resurrezione. Rosso è il filo che lega Giuda
Iscariota come anima perduta all’inferno della sua colpa; rosso è il filo che
lega la figura al suo inconscio dilaniato, arreso alla perdizione, condannato
di per sé stesso da quella corda che lo serra fino a togliergli il respiro.
Albert
Maignan, “Dante incontra Matelda” ( canto 28 Purgatorio), 1881
Simbolista, magnificente ed eterea Matelda appare in bianco come angelo annunciatore del futuro paradiso celeste. La vediamo in questa tela di fine secolo avvolta in un candido abito bianco simile a veste nuziale. Un’apparizione quasi celestiale che anticipa l’ascesa al terzo regno ultraterreno per Dante. Cammina nella sua aurea di assoluta bellezza sulle rive del fiume Lete cogliendo fiori splendenti di quell’Eden rigoglioso e verdeggiante colmo di alberi fioriti che appare come il paradiso terrestre alle sue spalle. A lato il poeta e la sua guida ammirano la visione rapiti. Figura allegorica reinterpretata dall’estetica simbolista di fine ottocento, Matelda incarna la condizione di felicità primigenia prima della caduta causata dal peccato originale. Nel Purgatorio è anche colei che rivela al poeta il senso “dell’acqua di verità” nella quale sarà battezzato: i due fiumi, il Lete che dona l’oblio dei peccati commessi e l’Eunoé che fa ricordare solo le azioni buone compiute così da renderlo pronto a “salire alle stelle”. Ancora una volta è in Dante la figura di una donna, che anticipando l’apparire di Beatrice come guida ammantata di luce ne Il Paradiso, apre la strada al regno celestiale portando in sé, nel suo sorriso, la contemplazione dell’opera di Dio sulla terra.
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