venerdì 10 aprile 2020

“Women: a century of change” ; a proposito di fotografie, emergenza, crisi e rinascita oggi









La mostra fotografica “Women: a century of change” allestita dal National Geographic in collaborazione con i musei bolognesi presso Santa Maria della Vita e prevista fino al prossimo Maggio non è più visitabile a causa della chiusura tempestiva di tutti i luoghi pubblici e culturali per l’ epidemia devastante che sta colpendo il nostro paese insieme al resto d’Europa e del mondo. Ho avuto modo di vedere quelle fotografie pochi giorni prima che il decreto sancisse la chiusura definitiva di tutti i luoghi pubblici cittadini. Mi domandavo se avesse senso parlare di queste immagini ora di fronte ad emergenze molto più gravi, sanitarie e economiche del paese. Eppure, mi sembra che i nuclei tematici in cui è suddiviso il percorso, aprendo prospettive sulla rappresentazione del femminile nel tempo e nello spazio attraverso le diverse culture –un secolo di storia delle donne- abbiano ancora molto da dirci, oggi, di fronte all’emergenza che stiamo vivendo. Le immagini di queste donne infatti ruotano intorno ad espetti essenziali dell’esistenza che tanto più siamo chiamati a riconsiderare o attraverso i quali ripensare l’emergenza attuale: la forza come resilienza, la saggezza come discernimento di fronte all’inaspettato, l’amore come principio unificante tra gli individui infine la bellezza come baluardo contro la distruzione della nostra specie.


I: Empatia

L’amore   nelle sue differenti accezioni viene definito dal dizionario Treccani come forza universale  di riconnessione e unione tra le anime, tra le persone e i luoghi, tra il divino e l’umano, tra il sentire e l’agire individuale. Esso è ancora il desiderio di produrre un bene comune, il bene dell’altro, poi l’ attrazione basata su un affetto o un sentimento che unisce due persone, infine la vicenda o la passione amorosa. Oggi, ritroviamo le nostre case come luoghi di rifugio e insieme di vita concentrata in pochi metri quadrati di spazio ritagliati dall’esterno per prendere le distanze dal mondo, per cautelarci e insieme prenderci cura dei nostri cari. Iniziamo a osservarlo in un silenzio nuovo, e, tale lentezza dimenticata ci riporta a un tempo del passato, lento e scandito da ritmi e mansioni quotidiane nel quale  oggi di nuovo ci troviamo a vivere, costretti a fermarci e a restare.

L'amore in questo frangente estremo ritorna ad essere empatia con l’altro pur nella distanza. Tracciare i confini di un proprio spazio, intimo e invalicabile come la casa, e insieme vivere quest’empatia o fratellanza con chi ci è prossimo affettivamente. Sentire gli altri vicino e lontano insieme pur nella distanza, sulla base di un comune destino che ci tiene qui legati come specie. Allora,  gli abbracci e i baci con i nostri simili come la possibilità di stare vicino e condividere il contatto con gli amici, i famigliari, i prossimi li riscopriremo, quando ci saranno concessi liberamente dopo la pandemia come dono, unico e prezioso, di cui avere cura.

Riconnessione: il senso di appartenere tutti a una stessa comunità, gruppo o umanità nonostante le differenze e separazioni; il senso dell’essere tutti insieme a fronteggiare un male comune, nel tempo di una sospensione forzata e dolorosa dalla frenesia abituale del mondo, dalla nostra corsa affannata. Infine, la percezione più chiara che mai ora della vita come destino oltre il qui e ora della terra.






Nella prima di queste foto del National Geographic l’amore è una madre che stringe il figlioletto appena nato al petto in un abbraccio intimo e avvolgente. Dentro la vasca di casa, in un bagno ricoperto di petali di rosa inebrianti che avvolgono i corpi nudi nell’ acqua primordiale della nascita. In un’altra fotografia una giovanissima afghana  abbraccia la sorellina di pochi anni il giorno del matrimonio al momento del distacco o della forzata separazione dalla famiglia paterna. Abiti rossi nuziali, decorazioni argentee scintillano nei primi piani sui volti; la prossimità e la tenerezza dell’ultimo abbraccio prima del definitivo distacco.

Ad Aleppo, in Siria, nell’immagine successiva, l’atmosfera di una serata danzante a un ricevimento di nozze appare, al contrario, soffusa e sofisticata, intrisa di eleganza e mistero. La festa nel vuoto scintillante in cui appare sembra sfidare  i  quattro anni di assedio della città, gli scontri tra i ribelli e l’esercito siriano e le rovine lasciate dalla guerra. La sala del palazzo appare sontuosa, gli abiti da sera eleganti e avvolgenti fino ai piedi, le luci soffuse, l’atmosfera ovattata, l’ombra della morte lasciata fuori mentre all’interno è il sogno ad occhi aperti a dominare.

II: Forza

Forza è sinonimo di solidità, durezza e vigore, di un potere fisico ma anche mentale, oppure si identifica con il concetto di autorità morale:  l’attitudine a influenzare gli animi, a controllarli e sottometterli a sé. In questo senso ci sono due aspetti che riguardano la forza, quello più evidente è l’impeto o la violenza con cui essa si manifesta, l’altro, più sottile, indica la capacità di superare le difficoltà e gli impedimenti, vale a dire la forza interiore di pensiero e di resistenza. La lotta tacita contro ogni forma di sopruso o violenza perpetuata da un sistema o da una parte dominante su un’altra, che può anche identificarsi come una forma di attivismo politico.
Resilienza oggi per noi significa, in questo momento particolare di emergenza virale e in quanto cittadini appartenenti  a una comunità, vivere l’isolamento forzato nelle nostre abitazioni per lottare contro l’epidemia, vedendoci privare del nostro tanto acclamato diritto occidentale alla libertà individuale e all’azione. Per ovvi e giusti motivi di tutela delle nostre vite e di chi ci sta accanto. Resistenza è riadattamento a queste nuove abitudini  che ci vengono imposte, sentite spesso come restrizioni alla nostra capacità di muoverci, lavorare e produrre in maniera proficua a contatto con gli altri. La resilienza ancora oggi diventa necessità quando dobbiamo lottare contro il clima di paura diffuso: il senso di un pericolo generalizzato e globale, non ben localizzabile, l’ombra oscura di un contagio che si profila sul mondo intero









Vediamo , di seguito invece, come si presenta la forza in queste fotografie;  donne di provenienza e cultura differente, appaiono accomunate nell’affermare la propria libertà individuale contro situazioni di violenza e repressione domestica o familiare, politica o sociale nei propri paesi.  Nella prima foto documentaria è il volto di una donna del Myanmar  che fieramente mostra le proprie  cicatrici su parti delle braccia e del viso causate da ustioni dell’esercito militare durante il regime.

Una seconda  foto: un' attrice afghana sfida le convenzioni millenarie del proprio paese alla guida di un’auto a Kabul investita dagli insulti di un gruppo di estremisti islamici. Esplode in una risata dall’ interno della vettura alzando il volume della musica contro il frastuono delle grida provenienti dall’esterno.

E’ l’assimilazione ai modelli maschili oppure la tacita opposizione e resistenza ad essi quello che appare nelle due immagini che seguono. Da una parte vediamo una recluta delle forze armate in Tongo ricondotta alla sua pura forza fisica quasi abbrutente. Dall’altra, una figura esile vestita con una camicetta bianca e una gonna scura  è chiamata in giudizio dietro la  gabbia di un tribunale militare kurdo. Il suo volto appare orgoglioso e austero come una corazza inossidabile  mentre viene condannata a reclusione per lotta politica a favore del partito popolare. La forza, infine qui, diviene sinonimo di tacito ammutinamento: resistenza operata nel quotidiano contro forme aperte di sopruso e prevaricazione sul femminile.



III: “Attraverso la lente”




Milaya” è un telo ricamato a mano con motivi fantasiosi e floreali espressione di gioia e creatività. Queste donne africane lo dispiegano con fierezza di fronte alla macchina fotografica in un campo profughi dell’Uganda. Mostrano all’obbiettivo l’oggetto più prezioso che posseggono, ciò da cui non si sarebbero mai volute separare lasciando quel campo e che gli avevano trasmesso le  madri e le nonne insegnando loro  a ricamare come dono per il futuro. Fuggite dalla guerra continuavano a cucire quei tessuti dai motivi festosi, dai colori di una straordinaria vivacità e brillantezza imparando così la lotta, la resistenza tacita contro la violenza, infine un mezzo per guadagnarsi la loro sussistenza economica. Cucivano insieme tasselli di speranza intrecciando i fili di un ancora possibile futuro. Ricamavano disegni immaginari di abbondanza e creatività contro il  regno presente di miseria e rovina.




IV:  Speranza


Dalla definizione Traccani: aspettativa fiduciosa nella realizzazione presente o futura di quanto si desidera. Fiducia nell’avvenire, nella buona riuscita di qualcuno o di qualcosa.
Nell’immagine fotografica della mostra, una schiera di donne mussulmane avvolte completamente dalla testa ai piedi in una tunica e velo neri incidono di una traccia oscurante il territorio sabbioso che le circonda mentre una piccola figura si staglia a lato vestita di bianco. Loro avvolte dall’oscurità, cancellate nella loro identità femminile si ergono contro questo piccolo barlume di speranza a lato luminoso come una visione per le generazioni future.


Oggi le piazze, le strade delle città italiane appaiono deserte, il silenzio a volte opprimente contro il cemento degli edifici, i negozi dalle saracinesche sbarrate, le scie grigie, vuote e opache delle strade desolanti. Questa cortina di ferro è discesa sulle nostre città a causa del contagio, dei molti morti in alcune zone, della paura da un lato, della manipolazione mediatica e delle leggi che ci impongono l’isolamento dall’altro. Dunque in tale dimensione di fragilità e disorientamento oggi dove situare il concetto di speranza? Da una parte sono molte le voci, religiose spirituali o semplicemente umaniste che richiamano a valori di comunità, solidarietà, e appartenenza comune ai quali non possiamo sottrarci. Dall’altro lato, si affaccia molto chiara l’urgenza di un cambiamento planetario, intrinseco e necessario per il sistema-mondo  perché a tutto questo venga posta una fine.     E’ soltanto forse realizzando questo mutamento di prospettiva, oltre l’ossessione di onnipotenza e possesso  che ha guidato  l’uomo fino a questo momento nel sistema occidentale che si potrà parlare di una evoluzione possibile per tale crisi globale, l’accendersi di una fiammella di speranza dopo l’oscurità. Oggi speranza va di paro passo con il superamento di questa emergenza mondiale, con la necessità di reimpostare dei parametri planetari che vadano dallo sfruttamento e l’ineguaglianza verso i valori di appartenenza comune, di rispetto della terra, poi del sé come umanità in relazione all’ altro.


Finale: saggezza

Saggezza: l’abilità a discernere interne  qualità e relazioni. Coincide forse con una visione interiore, con una conoscenza approfondita e autentica delle cose. E’ la saggezza che ci rende atti a valutare le situazioni e a decidere perché deriva insieme dall’esperienza, dalla meditazione e dalla coerenza morale. La saggezza al femminile è sempre stata connessa alle forze della natura, come una specie di armonia intuitiva con il cosmo, di innato sapere a contatto con la luce del nostro essere interiore.









Immagini differenti come tanti riflessi colorati di un unico prisma ci parlano in queste immagini di saggezza come apprendimento nelle diverse scuole del mondo. In un’aula femminile dall’aspetto modesto in un villaggio pakistano_ le pareti nude e spoglie visibili sullo sfondo_ le  giovani allieve appaiono avvolte da un velo grigio e opaco lungo fino ai piedi. I loro volti limpidi sono attenti, concentrati in primo piano, pronti a ricevere, accogliere e condividere conoscenza e curiosità oltre le barriere alienanti di segregazione e ignoranza cui sono soggette le donne in Pakistan. In Turchia, ancora, una classe solo maschile di bambini impara l’inglese da una volontaria del Corpo di Pace delle Nazioni Unite. La dedizione della giovane insegnante, la vivacità delle voci nell’aula, l’ entusiasmo  e la saggezza volgono il luogo del conflitto etnico in una missione costruttiva di pace. Infine, nell’ultima immagine,  bambine di un villaggio africano trasportano in maniera itinerante banchi e sedie da un luogo all’altro attraverso una strada rossa in terra battuta per dare vita a una scuola provvisoria sorta in angolo sperduto del suolo africano. Saggezza qui diventa adattamento, sopravvivenza, armonia necessaria da ristabilire con la natura, infine l’inevitabile lotta contro le barriere alienanti dell’ordine sociale esistente.







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