domenica 7 aprile 2019

“UNFORGETTABLE CHILDHOOD”…Indimenticabile infanzia (al Museo Ebraico di Bologna)





Conservare lo spirito dell’infanzia dentro di sé per tutta la vita significa forse conservare il piacere fine a sé stesso o meglio la noncuranza assoluta e gioiosa del gioco infantile, l’uso incondizionato dell’immaginazione e ancora le ali illimitate della fantasia. Nel bambino è la capacità di guardare al mondo senza i limiti stringenti della ragione, del razionalismo e della legge di casualità nel pensiero dell’adulto . Del bambino ancora è il vivere l’eterno presente come un tempo che si dilata illimitato al suo sguardo senza la consapevolezza di un inizio e di una fine, la capacità di guardare la vita senza attribuirgli  un senso altro, un fine secondo ma semplicemente nel suo scorrere eterno e vitale, nel suo essere in divenire.


Perché, inevitabilmente, l’infanzia è per gli artisti di “Unforgetable Childhood” a Bologna, come per molti di noi ancora, l’innocenza gioiosa e senza finalità del gioco, il tutto possibile dell’immaginazione, l’indefinito di ogni singolo istante che si dilata come una temporalità senza limiti dove primariamente è il principio del piacere a dominare. L’infanzia, richiamando il pensiero di Nietzsche è l’arte, artista preso nel gioco della creazione, il fanciullo primigenio e creatore in ciascuno di noi.



Giorgio di Palma, "coni gelato"








Tale l’omaggio, fantasioso e ironico, spesso, irriverente e gioioso  al tema dell’infanzia nella mostra allestita in varie città da Tel Aviv a Ravenna a Matera,  ora al Museo ebraico di Bologna nello sguardo di sessanta artisti contemporanei tra l’Italia e Israele. Diversi gli echi delle singole voci ma  comuni gli oggetti, i segni o le suggestioni provenienti da archetipi universali che si rivestono dei colori di singoli luoghi agli antipodi sulla terra.
Coni gelati finiti a terra, schiacciati o dissipati al suolo di fronte forse al volto incredulo di chi dall’altra parte guardava esplodendo in un pianto irrefrenabile e burrascoso, nell’istallazione di  Giorgio di Palma.

 Ancora nel “disastro annunciato” un orsetto di ceramica posto insieme ad altri suppellettili fragili e preziosi finisce a pezzi al suolo, forse disintegrato dalla furia gioiosa del gioco infantile, dall’impulso creativo del bambino come dell’artista di toccare, sperimentare, fare a pezzi, dalla curiosità innata di far esplodere o esplorare. E, ancora, ricompaiono tra i diversi lavori barchette di carta ripiegate, rifatte in ceramica e poi lasciate scivolare su un immenso foglio bianco e liscio come la scia disegnata su una marea solitaria,  una libreria composta da mille copertine colorate, un elefante in gesso, una scatola in ceramica ingigantita con i quattro colori primari, un secchiello rosso su una spiaggia nuda e  oggetti inflazionati della memoria infantile come ghiaccioli, gomme da masticare,  merendine, liquirizie, palloncini svolazzanti o bolle di sapone .


"Endless Love” nell’affresco su tela juta di Valerio Berruti è la pacificazione del sonno, il riposo sicuro dell’infanzia mentre l’artista osserva i suoi figli “abbracciati, avvinghiati, uniti in un intrigo di braccia e gambe che, non a caso, ricorda il filamento del DNA». E’ la carezza di questo riposo pacificante e sereno amplificato, ingigantito, all’ennesima potenza come un affresco affiorato di per sé su una tela dove le due piccole figure appaiono trasportate, avvolte, completamente immerse nelle braccia del sonno come in un avvolgente stretta materna. 

Adi Kichelmacher
Roberta Savelli

Per Roberta Savelli sono lavori onirici, istantanee fotografiche arrestate in punti incidenti della memoria d’infanzia e ricreate, fatte rivivere come dipinti vividi, incisi in cera su una eterea tela di garza. Là i segreti sono sussurrati all’orecchio, gli occhi bendati tra le due bambine, e le parole disvelate ricreando questo immaginario di un mondo scomparso, fragile e segreto fatto di legami, giuramenti e tacite corrispondenze in qualche modo ritrovate, intuite o captate sulla tela come l’anacronismo di un tempo altro.



Adi  Kichelmacher:“My childhood dreams”(2018). 
 Il mio sogno d’infanzia, racconta questo dipinto, si espande all’ennesima  potenza dal suo fondo rosa intenso, acceso e violaceo, ora indaco e fucsia. Si espande a raggiera, in raggi multipli e brillanti, in linee incantatorie come per l’effetto di un qualche alchimia da queste mani di bambina sorprese nel mentre del meraviglioso. Il mondo è per lei tale spazio illimitato e senza fine che si crea dalle sue mani, che prende forma e si colora di un indaco  gioioso. Tutto si muove intorno a lei nell’infinito moto della creazione,  nel varco aperto dal gioco in un continuo dove creare e distruggere divengono una e la stessa cosa.  In un’altra versione è “ la ragazzina con il sole nelle proprie mani” dove tutto si colora di giallo e arancio, raggi solari espandendosi in una radiazione della solarità e dell’infinito.




Orly Aviv: “Come, fly with me”Lo scenario è immerso nell’oro e nell’arancio, l’immaginario quello di un sogno ad occhi aperti. Le due piccole figure, una l’ombra dell’altra reale ritratta nella foto, aleggiano, si muovono, danzano nel sole, nella vibrazione rilucente e dorata dove sono immerse, nella tempestata di punti fluttuanti come uno stormo disperso nell’orizzonte risplendente del cielo, come piccole foglie verdi, eteree e leggere, che corrono, si inseguono e volteggiano in quel mare d’oro.  Stessa luce, stessa immersione in ambiente liquido e luminoso, questa volta è lo scenario di una città moderna e metropolitana, Milano forse, vista nella stessa irradiazione di una luce oro, giallo-arancio luminosa e riflessa dai fari dei lampioni elettrici.  Attraverso un grande arco è la porta d’accesso alla città, disegnata dalle linee dei  tram che circolari si intrecciano portando verso questa scia di luce lontana oltre il mostro sguardo.

In Eran Shakine lo scenario dell’infanzia emerge dal dopo la tempesta, dopo l’alluvione che ha sradicato e portato il caos, lo sconquasso di forme di vita, il groviglio di piante e alberi sradicati tutti intorno:  multipli mondi da un mondo, il rovesciamento dall’ordine precedente, un nuovo ordine ancora a trovare, cespugli, braccia e rami, sullo scenario di un post-diluvio universale.
 Il nero pennello  ritaglia    il contorno di un piccolo corpo naufragato, ridipinto sulla solitudine del fondo boschivo sul piano nudo di legno.



 
 


“Stitches” (Dado Schapira) sono i punti di sutura che ricuciono e tengono insieme le fotografie dell’infanzia di Schapira. Come un taglio sula pelle aperto e ricomposto attraverso dei punti chirurgici, come si ricuce il tempo tra passato e presente nel tentativo di riannodare i fili tagliati o interrotti della propria storia, come si sutura l’istante e si ricompongono i pezzi, i frammenti o gli anelli mancanti dalle proprie passate esistenze, così si riempiono le immagini  di Shapiro di reali, fisici, tangibili punti di sutura sulla tela ritrovando il bambino che si era nei giochi più comuni come corse, scivolate e capriole immortalate dalle pellicole.



Conclude l’allestimento il grande affresco colorato di materiali compositi, tutti i colori, tutti i rimasugli in plastica ritrovati e ricomposti insieme usando pezzetti di palloncini scoppiati, esplosi o fatti saltare in aria. Un circuito è visto cortocircuitare, come un palloncino esplodere lasciando residui di plastica qui ricomposti in una nuova composizione irriducibile e gioiosa, colorata e multiforme che si sporge fuori dalla forma circolare dell’istallazione sulla parete simile a un bouquet o omaggio floreale a un'infanzia ritrovata in un modo proprio per ciascuno di questi artisti. Una finzione possibile,  re-immaginata a posteriori di un mondo disperso o mai esistito altrimenti, irraggiungibile se non attraverso il gioco del fanciullo o il passaggio alchemico del lavoro d'arte.











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