“Sogno e colore” a Bologna espone le opere degli ultimi trent’anni dell’artista catalano Joan Mirò, protagonista incondizionato del surrealismo e del rinnovamento pittorico nel ventesimo secolo con le grandi tele della maturità intimamente legate all’isola di Maiorca dove decide di stabilire il suo atelier permanente a partire dal 1956. Centrale resta qui l’ispirazione desunta dalle forme organiche e dal mondo della natura attraverso gli splendidi paesaggi di Maiorca in una luminosità vivida, sublimata e riflessa tuttavia, filtrata unicamente in pure intensità di luce e colore. A partire dagli anni ’60 si assiste infatti a una svolta pittorica e, insieme, a una metamorfosi plastica della sua opera; Mirò intensifica sempre più il grado di espressività sulle grandi tele e semplifica progressivamente le linee e i tratti riducendo i motivi iconografici mentre attinge sempre più a una multipla ricchezza di linguaggi e tecniche pittoriche tra disegno, collage, scultura ceramica e l’aggiunta di ogni tipo di materiale: gli “objects-trouvés” più diversi che riconnettono la pittura alla "non-arte" del quotidiano. All’ insegna della più totale libertà espressiva, e nella piena autonomia plastica dei segni un immenso universo poetico si rivela tela dopo tela, fondato su un linguaggio materico e insieme su un alfabeto di linee essenziali, dai tratti semplificati e i temi ispirati alla natura. Le immagini oltre all’apparenza astratta rinviano , tuttavia, sempre più a un sostrato materico originario, come bagnassero in una sorta di ordito visivo e magnetico le cui radici affondano nell’ inconscio, nel sogno o nella visione intuitiva della natura. Tale, la trasmutazione lirica della realtà per i paesaggi di Maiorca. Le tele di Mirò parlano ai sensi e all’ immaginazione evocando libere associazioni di pensiero ma, anche per chi guarda, la tessitura di un vero e proprio campo visivo; la pittura diviene soprattutto negli ultimi decenni una forma di scrittura universale, onnipresente che riassorbe tutto e ogni cosa e la trasforma, la metaforizza in un alfabeto di segni ora lievi, delicati o minutamente tracciati come fossero linee di china, ora densi, corposi e materici dati per getti o pennellate di colore. Le forme naturali appaiono sempre più immerse in un movimento intrinseco come in una danza di corpi che si muovono in un campo ritmico e sonoro propri.
Il
segno è traccia, coinvolge l’intero del corpo, è tracciato, linea del destino o
della vita, trama calligrafica sul fondo
di una tela bianca, sprazzi e macchie di colore dove il corpo è completamente
coinvolto nell’atto del dipingere. Mirò lo definisce “ un bisogno quasi fisico
come dormire o mangiare”, perché per lui
creare è del corpo, della pulsione e del tratto, dell’energia in movimento,
dello spazio e del ritmo in esso iscritto. Del pieno e del vuoto anche. E’
movimento-segno e traccia nell’universo. E’ gesto anche che si traduce in
scrittura grafica, del corpo nello spazio o sulla tela.
E’ danza dunque in senso lato. A partire dagli anni ‘70 la pittura coinvolge completamente il corpo: Mirò distende la tela a terra, vi versa i tubetti di colore direttamente, vi cammina sopra, stende la pasta colorata con le mani, le braccia o altre parti, lascia impronte, gocciolamenti e spruzzi, lascia asciugare per ricominciare il giorno dopo. L’impulso iniziale è totalmente istintivo ma l’uso dei colori e la tessitura calligrafica finale ri-equilibrano la composizione d'insieme.
E’ danza dunque in senso lato. A partire dagli anni ‘70 la pittura coinvolge completamente il corpo: Mirò distende la tela a terra, vi versa i tubetti di colore direttamente, vi cammina sopra, stende la pasta colorata con le mani, le braccia o altre parti, lascia impronte, gocciolamenti e spruzzi, lascia asciugare per ricominciare il giorno dopo. L’impulso iniziale è totalmente istintivo ma l’uso dei colori e la tessitura calligrafica finale ri-equilibrano la composizione d'insieme.
Traccia
nera ma lasciata da una pennellata corposa e materica, evoca la forma di un
dragone nell’ arte giapponese e insieme un segno spaziale - l’arte orientale dei
maestri calligrafi lo influenza particolarmente dopo
il viaggio a Tokyo. Si impone come una
scia materica essenziale e oscura che attraversa tutta la lunghezza della
parete bianca in verticale.
Un percorso, una direzione verso, una linea strisciante, uscente dalla tela ma due macchie di colore al di sopra, blu e rosso rompono l’abulia del tracciato che resta tuttavia immerso in questo campo magnetico di un bianco primo e originario.
Un percorso, una direzione verso, una linea strisciante, uscente dalla tela ma due macchie di colore al di sopra, blu e rosso rompono l’abulia del tracciato che resta tuttavia immerso in questo campo magnetico di un bianco primo e originario.
Il confine tra
pittura e poesia in Mirò non esiste là dove la poesia resta per l’artista “quel
momento visionario e emotivo che riunisce nell’atto artistico cuore e mente” e la
cui sintesi struttura un nuovo linguaggio plastico o pittorico. Pittura e
poesia convergono letteralmente nell’edizione del 1961 di “Derriere le miroir”
dove le composizioni poetiche di Neruda sono accompagnate dai testi visivi di
Mirò.
Un punto e una linea incise o lasciate su un
foglio, un tratto unico, grezzo o marcante in nero, un’affermazione,
un’impronta, un emblema del suo esserci. Una linea casuale si imprime a macchia
di inchiostro su una superficie, tale il potere magico di una matita su un foglio, di un colpo di spatola o di pennello su una
tela: un gesto sulla superficie del mondo. Nella prima metà del disegno un
tratto grafico fine ed elaborato si
imprime sul bianco del foglio, sospeso su un fondale di macchie colorate azzurrine,
rossicce magenta e gialle sfumate in schizzi d’acquarello. Fa pensare alla
trasformazione alchemica della pietra grezza in metallo prezioso, all’aurea o all’alone
che circonda le figure e le illumina fino a rischiararle della loro propria interna
vibrazione, oppure rinvia all’ombra , all’alone non-manifesto di oscurità che accompagna e avvolge i corpi in alcuni momenti.
L’oggetto e la sua ombra, l’impronta lasciata su una distesa bianca e piana, la linea calligrafica lieve e sottile, appena percettibile, sospesa e tracciata sullo svaporare di aerei colori pastello. Diviene nel lato opposto del foglio una pennellata oscura, una traccia dominante, segno o marcatura di territorio, colpo di spatola o di spugna, cancellazione e insieme incisione di tenebre. E,’ ancora, il cerchio rosso di alchemica ispirazione che, come anello mancante di una catena, primario esubero di un rosso vitale sulla china, sembra chiudere il cerchio magico tra pittura e poesia. Secondo le parole di Miro: “ il pittore lavora come un poeta, prima viene la parola poi il pensiero”, prima la traccia poi il senso o il significante di cui si avvolge e si imprime.
L’oggetto e la sua ombra, l’impronta lasciata su una distesa bianca e piana, la linea calligrafica lieve e sottile, appena percettibile, sospesa e tracciata sullo svaporare di aerei colori pastello. Diviene nel lato opposto del foglio una pennellata oscura, una traccia dominante, segno o marcatura di territorio, colpo di spatola o di spugna, cancellazione e insieme incisione di tenebre. E,’ ancora, il cerchio rosso di alchemica ispirazione che, come anello mancante di una catena, primario esubero di un rosso vitale sulla china, sembra chiudere il cerchio magico tra pittura e poesia. Secondo le parole di Miro: “ il pittore lavora come un poeta, prima viene la parola poi il pensiero”, prima la traccia poi il senso o il significante di cui si avvolge e si imprime.
Maiorca, serie
Gaudì
Studio Sert”, l’immenso
atelier dove Miro’ realizza un terzo della sua produzione artistica dalle
pareti spesse e i soffitti alti ospita le grandi tele monumentali della
maturità; ad esso si aggiunge il casolare settecentesco “Son Boter” immerso in una vegetazione mediterranea rigogliosa e selvaggia a ridosso del mare, ricoperto di
bouganville e piante verdi. Tali, i luoghi di creazione e meditazione artistica
per il pittore catalano paragonabili a un orto o un giardino dove crescono insieme frutti preziosi, legumi, piante usuali e
erbacce, dove le cose seguono il proprio corso e richiedono all’artista di irrigare,
innestare e quando necessario potare. Graffiti ricoprono le pareti delle
stanze, grandi tele sono disposte tutt’intorno in contemplazione silenziosa appoggiate
a terra insieme a cavalletti e agli altri oggetti provenienti da diversi luoghi : statuette, cartoline, ritagli di giornale, pennelli, colori lasciati
essiccare dentro tavolozze da lavoro, pietre o conchiglie; ogni possibile
suggestione creativa trova collocazione qui.
Nelle parole di
Miro’: “E’ così che ho cominciato lasciando impronte. Prendo cose ordinarie e
le trasformo, tutto può “diventare straordinario”: la carta riempita di fango e
i fogli di fine calligrafia giapponese, martellare con chiodi una tela per “assassinare
la pittura”, la mescolanza, occhi che sporgono in modo intrusivo, rettangoli di
carta vetrata o carta velina. “L’atelier è come un giardino, come crescesse di
giorno e di notte, c’è di tutto dentro, fiori, frutta e erbacce, tutto è
nell’immaginario.” La tela al suolo è attraversata come fosse un campo di
battaglia, un campo magnetico o minato di cariche esplosive e liquida lava di
colori spremuti direttamente dai tubetti, in guizzi, sprazzi e pennellate . Il
pittore vi cammina sopra, vi agisce gestualmente, ne fa l’esperienza attraverso
il corpo tutto seguendo l’impulso iniziale che lo guida totalmente affidato a
un sapere innato, istintivo.
La rivolta accade nelle strade di Parigi; è espansione gioiosa di turbini e gironi colorati su un fondale bianco in movimento simile a un corto-circuito dove energie e dunque forme entrano inevitabilmente in contatto o conflitto tra loro. La vibrazione della rivolta si impone come asserzione libertaria, turbinante e anti-conformista rispetto alla struttura immobile della cornice sociale. L’anima cromatica della tela è là con i suoi guizzi e sprazzi di rosso vitale, blu intenso, arancio e verde smeraldo colante tra i tratti neri come un atto di posizionamento critico rispetto a una visione statica dell’ordine imposto. Il mondo appare qui in rivolta, l’energia è quella del turbine, del rovesciamento o di un movimento a spirale o vorticante, l’afflato quello della trasformazione violenta e inevitabile in
atto.
Il fondale fucsia poi blu di uno stesso paesaggio si rivela, ora come notturno tassello di luna calante al centro in un cielo plumbeo, ora solare e immerso nella luminosità indaco del fondale acceso dove chiazze bluastre, e pennellate materiche ricompaiono in un dripping pollockiano. Temi ricorrenti sono gli occhi che fuoriescono dalla tela, le stelle, le meteorite o le spirali, la figura femminile, gli uccelli o le forme alate simbolo di libertà. Terrestre o cosmico il mondo è sempre teatro di costante trasformazione seguendo le due polarità che di volta in volta si impongono attraverso forme viventi ispirate ora alla matrice terrestre ora alla vibrazione celeste. Sono anche due polarità che si parlano in questo faccia a faccia del femminile e del maschile, pronte a riempire spazi e a riemergere nelle loro linee iconografiche essenziali in un dialogo senza tempo.
“Cerco di raggiungere un massimo di chiarezza, potere e aggressività plastica. Una sensazione fisica per incominciare seguita dal suo impatto sul pensiero.” (Mirò)
Una distesa
bianca, una linea nera, un cerchio di colore al di sopra, astro basso in un cielo
colante di striature oscure. Ora al contrario il cielo è nero e il bianco oltre
la linea dell’orizzonte.
Una sensazione
tangibile, chiara, manifesta: il bianco e il nero, la semplicità calligrafica
del tratto, una linea che divide, essenziale nel pieno e nel vuoto dello
spazio. Nella terza parte del trittico il bianco ritorna dominante con fini linee di nero colanti a lato rovesciando il punto di vista.
La purezza del sole all’orizzonte.
Come Mirò afferma: “l’opera è come una creazione plastica assoluta ed essenziale, con la sua personale, intrinseca poesia. Perché solo la poesia può interpretare la realtà e la natura”, e forse in definitiva invisibilmente salvare il mondo. Le forme danno vita ad altre forme nello spazio vivente della tela, costantemente mutando rispetto a loro stesse . Diventano tracce, una tessitura primigenia di corpi ora terrestri ora celesti fino a dare vita a una realtà di segni e simboli universali.
Lo spazio poetico della pittura. E’ uno spazio vivente, d’una semplicità assoluta dove è sufficiente riempire o svuotare, aggiungere colore al vocabolario essenziale del bianco e del nero per delimitare le figure. Perché, in fondo, la pittura in Mirò è intuizione inconscia, impulso dentro la linea e il colore fino a trasformare gli spazi in campi magnetici che seguono leggi ritmiche insieme proprie e universali.
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