lunedì 2 agosto 2010

Valerie Jouve ( II ): i muri, le città , le immagini



















Sembra che l'insieme delle operazioni militari compiute dall'esercito israeliano in territorio palestinese nella banda di Gaza abbiano cambiato radicalmente le strategie militari e il modo di organizzare le operazioni di occupazione da parte dell'esercito. Alla figura della maglia cartesiana, della catena di comandi gerarchici, visione monoculare dall’alto si oppone quella della simultaneità, della rete, della sovrapposizione disordinata, della guerra civile di tutti contro tutti. L'attacco al campo di Balata nel 2002 testimonia dell' irruzione della guerra nella sfera del privato, l' armata israeliana avanzando all'interno delle abitazioni dei palestinesi in una forma di lotta non-lineare, dispersa, secondo la modalità definita dal Eyal Weizmal come “passe-muraille”, passare attraverso i muri delle case palestinesi tra gli edifici, le macerie, le rovine della vita quotidiana.

Sono le strutture tentacolari, gli agglomerati anarchici, disordinati;
i labirinti di strade sviluppatosi nei campi dei rifugiati palestinesi, Naplouse, Balata.
Sono “spazi striati “ delimitati da , chiusure, barriere, fossati costruite dalle forze d’opposizione palestinesi.

Storicamente una breccia aperta nella muraglia esterna d'una città-stato presa sotto assedio indica la caduta di sovranità della medesima. Nelle guerre moderne il limite ultimo che viene trasgredito è quello dello spazio domestico, l'irruzione nella sfera del privato.
Vedere, sorvegliare, controllare, occupare, mirare attraverso i muri;
imporre la trasparenza d'uno spazio urbano fluido, facilmente navigabile attraverso le nuove tecnologie di sorveglianza.

Il muro storicamente é frontiera fisica, visiva e concettuale:
muro isolante, visivo e sonoro, costituisce le frontiere intime dello spazio borghese.
Indice architettonico irriducibile, afferma la solidità, la permanenza dell'uomo sulla materia,
le fondamenta di quello che resiste nel tempo ma anche l'entropia naturale dell'ordine urbano.
Muri domestici, sociali, geopolitici, strutture immobili, “immovibili” dell'ordine socio-politico costituito.
Solidità che diventa chiusura, repressione, blocco, arresto di movimento
contro il fluidificare, rendere la circolazione libera, il passaggio facile, immediato.

Gordon Matta Clark: de-murare i muri”, sovvertire l'ordine depressivo dello spazio domestico.
Bataille: attaccare l'architettura nella sua carcassa repressiva per liberare energie incoscienti; trasgredire l'ordine borghese della pianificazione della città, dello spazio urbano.
Liberare energie creative inutilizzate, forze politiche e sociali marginali, inespresse.


Immagini suggerite dal lavoro fotografico e i diari di Valerie Jouve


“la sindrome di Gerusalemme”.
Questa città, ombelico paranoico del mondo rende folli al punto di reclamare, d’invocare nelle strade la venuta del Messia ,
di sentirti male, quando qui vorresti allontanarti senza poterti allontanare ,
incapace di scuoterti di dosso il sentimento opprimente,
feroce che la città ti inocula senza remissione.
Il suo peso ti schiaccia, soffoca e sommerge. La peggiore addizione che avresti conosciuto, senza sapere.

“ Ramallah, un disordine apparente, impossibile a inquadrare, ed é anche il suo valore”;
una città che resiste ai cliché. Naplouse é più semplice a definire, rinvia direttamente alle rappresentazioni che si hanno delle città arabe, costruita in una valle, cornice naturale per una espansione urbana. Rammallah non si prende in foto facilmente, lascia intravvedere un tessuto urbano lambiccato, disconnesso, privo di logica apparentemente.
Ci vorrà forse tempo per vederla in una visione complessiva e frammentaria che ne rifletta sommariamente tutte le parti.



Foucault: “non si vive in uno spazio neutro e bianco. Non si vive, non si muore, non si ama nel rettangolo di carta bianca ma in uno spazio inquadrato, intagliato con zone chiare e oscure, differenze di livelli, di gradini, di scale, di incavi, territori duri e altri labili, penetrabili, porosi. ..Tra tutti questi luoghi distinti ce ne sono di assolutamente diversi che si oppongono a tutti gli altri, destinati in qualche modo a cancellarli, neutralizzarli, purificarli. La società adulta ha organizzato i suoi propri contro-spazi, utopie localizzate, luoghi reali fuori da ogni luogo. Spazi differenti, luoghi altri, contestazioni mitiche e reali dello spazio in cui viviamo”. ( Le Eterotopie)


















Pietra su pietra, una cerchia muraria a secco occupa in primo piano l'intero dell'immagine ma lo scorcio é ripreso obliquamente aprendo il passaggio dello sguardo attraverso
spiragli di luce, squarci d'orizzonte, frammenti di cielo che irrompono qua e là sull'uniformità opaca della materia, solida e immobile.

Costruzioni in pietra a vista.
Le pietre diventano muri eretti contro lo sguardo,
diventano costruzioni d'edifici, case e scenari urbani che imprigionano gli individui.
Diventano città, blocchi di cemento sorti disordinatamente sul suolo desertico e arso di Palestina.

Lo spiraglio é squarcio d'orizzonte che s’apre, si intrufola, si lascia intravvedere sullo sfondo dell'immagine ma anche la vegetazione selvaggia e irta che si infiltra come cespugli ribelli tra le insenature,
dentro le piccole fessure sulla muraglia là dove le pietre si discostano l'una dall'altra di qualche centimetro nel passaggio del tempo o per l'effetto d'agenti esterni.

Spiragli ancora sono le sedie bianche, di plastica rovesciate, su un muretto di cemento in un viottolo dove si vedono desolanti costruzioni con piccole finestre, e buchi neri,
e blocchi di cemento, e colonne in cemento grezzo.
Spiragli di luce, d'orizzonte e sedie di plastica bianche rovesciate contro il muro;
materia duttile, banale, quotidiana, nell'economia dei mezzi obbligata.
Vediamo piedi di sedie rovesciate contro il cemento esterno, massiccio a vista in primo piano.

E giochi d'ombre su muri slavati, scrostati a tratti, sanguinanti sembra,
colanti di materia liquida, rossiccia , inquinata,
incrostati, intaccati all'immagine della città alle spalle.
I rami si incespicano in figure strane, contorte,
in giochi di luce e labirinti d'ombre dilatandosi lentamente per aprirsi una strada verso l'esterno.


Ancora un muro coperto di ruggine in primo piano ma preso in squarcio obliquo lasciando intravvedere una strada che s'apre lateralmente, a margine della foto.
Percorso dello sguardo tracciato in linea d'ombra rispetto alla superficie squadrata al centro.
Rossiccio, ruggine, filtrato di luce solare, di scritti e graffiti comparendo qua e là,
diventa un dipinto astratto, inciso, graffiato sui muri,
fatto di macchie, iscrizioni e punti d'arresto,
di suture e pigmenti colorati,
ocra, carminio o ruggine, filtrati di luce solare contro il grigiore del fondo,
nel pieno riverbero del giorno.






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