mercoledì 15 ottobre 2025

MATTIA MORENI: “dalla formazione alla mutazione ” ( ex convento di san Francesco, Bagnacavallo)






















All’inizio del percorso è un melo verdeggiante visto su una tela enorme che occupa tutta la superficie di una parete in mattoni a vista e s’apre in cima a un’enorme scalinata in marmo;la mostra prosegue poi da un corridoio centrale in salette laterali dall’intonaco scrostato e varchi o fessure sulle pareti grezze nell’antico convento di San Francesco a Bagnacavallo volutamente scelto per ospitare l’opera di uno degli artisti più originali del novecento italiano: Mattia Moreni. 

Fino alla fine del prossimo gennaio, infatti, in tale spazio inusuale all’apparenza disertato, lasciato al decadimento della sua forma originale di “luogo religioso”  ma irradiato di una luce naturale, soffusa che lo attraversa come una scia luminosa da lato a lato è visitabile la prima parte del percorso espositivo dedicato a Mattia Moreni: “Dagli esordi ai cartelli”. Il progetto proseguirà itinerante con altre quattro mostre fino alla conclusione del ciclo espositivo a Maggio 2026 per celebra la poetica del pittore dagli inizi all’apice della carriera in particolare nel suo legame unico e profondo con la terra romagnola.

“Un melo”(1964) dunque si erge all’inizio del percorso immenso nelle tonalità verdi e azzurre sulla parete centrale della galleria. Così lo vede Moreni, portato quasi alla deformazione espressionista nell’uso esacerbato del colore in poche linee essenziali eppure vitali, sospinto dal vento che  come ondata lo travolge e lo assimila al suolo verdeggiante ma anche, lo trasforma in un’entità vivente, innata nel movimento, antropomorfa quasi. Lo sfondo del cielo è ugualmente soggetto a tale immersione profonda in un blu espressivo, intenso e anti-naturalistico.


La fase espressionista: “Autoritratto” (1946)


Verde e rosso i colori sulla tela, la figura appare deformata, squadrata e ingigantita di fronte ai nostri occhi come ci trovassimo dentro “a un racconto fantastico” o nella cosmogonia di un mondo aspro e favoloso dalle qualità tipicamente espressioniste. Tuttavia, al di là della dissimulazione del corpo reso in dimensioni innaturali ed esasperate lo sguardo irrompe piangente, genuino e malinconico facendo risuonare sottile e oscura una qualche voce dell’anima. Emerge chiaramente nel Moreni di questo periodo la vivacità della stagione giovanile nelle sue molteplici sperimentazioni che lo porta di lì a poco ad avvicinarsi al cosiddetto “movimento dell’astratto/concreto” lasciandosi alle spalle l’espressionismo per entrare tangenzialmente a far parte  del “Gruppo degli Otto” esponenti dell’Informale italiano definito dal critico Lionello Venturi.

L’Astratto-geometrico : “Canale Candiano “(1953)


In questa fase di formalismo astratto è l’analisi o meglio “la disposizione mentale del segno” che domina sulla tela distillando qualche porzione di realtà per trarne un reticolo astratto-geometrico. Tuttavia, nella visione del “Canale Candiano” del 1953 l’atmosfera crepuscolare del mare con le sue reti e battelli dei pescatori trapela oltre la griglia geometrica attraverso il riflesso argenteo, grigio-azzurro del corso d’acqua fermo, immobile nella luce smorzata del tramonto che rimanda a una realtà più materica e concreta, più palpabile anche negli oggetti a lato, segno di linee e forme decise a prendere corpo a poco a poco sulla tela.

L’informale

Tra il 1956 e il 1966 Moreni vive e lavora tra Parigi e Palazzo San Giacomo a Russi nel ravennate eletto come suo atelier temporaneo di pittura avvicinandosi  al movimento dell’Informale di matrice francese per giungere lì probabilmente al culmine della sua fama ed esporre nelle principali gallerie europee. La sua pittura si fa sempre più “emotiva”, coinvolgendo l’esistenza tutta in una espressione “Informale” della medesima: grandi pennellate,  segni potenti e materici, colori vivaci nel confronto, infine sempre, con la natura in un ritorno alla realtà seppur su matrice astratta. Un medesimo paesaggio appare qui per esempio, reincarnarsi su due tele parallele , nel grigio prima e nel verde poi, facendosi sintesi di un’immersione totale nel colore e, insieme, di un gesto astratto per la pittura.

Cartelli e paesaggi: lo scontro violento con la natura


L’insorgenza di un grido “ primario e primordiale, incombente e opprimente, terribile nella sua forza e raffigurato con tutta la sua carica psico-fisica”, tale l’essenza di questa nuova strada e insieme la svolta radicale  che a partire dal 1959-60 assume la pittura di Moreni elaborando una nuova poetica dei “paesaggi” e dei “cartelli”. I primi incarnano quell’urlo silenzioso e inaudito dell’umano che come emergenza psichica istintiva non può essere taciuto né detto ma riesce a tradursi solo in pura traccia e segno materico. I secondi appaiono come messaggi criptati lanciati al vento nell’isolamento della campagna oppure nascosti dentro una bottiglia di vetro;  la denuncia di un qualcosa che viene meno o disintegra nella realtà e nella storia a lui contemporanea in una tendenza  progressiva verso la regressione pittorica degli anni successivi.

“Immagine bestiale”, (1960)

Violento, incontenibile come l’estrapolarsi di un getto di colore nell’irreversibile potenza del nero, appare il paesaggio in questa tela, quasi in una rottura violenta alla memoria di un dripping pollockiano. Colore-impronta, colore-emozione ad effetto sulla tela, colore come vita e morte insieme interfacciate, celate tra il nero, il grigio e l’ocra oltre i confini sanciti  dalla cornice, oltre la fine della superficie bidimensionale del quadro simile a una ferita, un grido o semplicemente un’insorgenza di materia e vita.

 

“Un cielo cattivo” (1957)

E’ una terra vista come globo circolare, sferico nella forma della tela da Moreni scelta per questa “emergenza” di paesaggio dove  tensioni ed energie insieme attrattive e repulsive la attraversano. E’ “un cielo cattivo”, una terra malata, una commistione di colori   a raffica dove il nero ancora la fa da padrone frammista ad ansiti di bianco e schegge di rosso e di blu. E’ la complessità di forze incontenibili dentro una cornice spingendosi fuori in un’emergenza materica non figurativa ma neanche completamente  astratta. E’ qualcosa che inciso, lacerato o scritto vuole manifestarsi, gridare o rendersi visibile in una traccia puramente pittorica. 

Cartello “non calpestare il prato”(1964)





Su uno sfondo grigio e denso, su una copertura totale di vernice come del reale esistente un cartello quasi banksiano appare nella scitta incisa e colante in bianco: “ non calpestare il prato”, non gettare via fiori invano, non calpestare la vita sulla terra, non rovinare o distruggere ogni spazio vivente intorno a te, e ancora, lascia uno spazio di bianco e di vuoto, una pennellata di luce, una scia aperta di bianchezza e di candore per i cuori e le menti quando la realtà intorno sembra sempre più oscurarsi, essere ingoiata e scomparire.

“Agonia di un campo” (1969)
















Come afferma Moreni “il rapporto tra il pittore e la terra che ha scelto è un rapporto d’amore” alludendo alla terra romagnola dove Moreni decide di insediarsi per gran parte della sua vita, qui prescelto come focus per l’intero percorso pensato in cinque tappe museali. Tuttavia , l’artista rileva anche nella fase più regressiva della sua produzione come sempre più la realtà appaia ai suoi occhi  precaria o destinata  alla dissoluzione, i campi plastificati o fatti esplodere dalla chimica dell’inquinamento e la natura sempre più soggetta alla distruzione.

“Travolto dall’ ammoniaca e dall’acetone dell’Anic” il campo di Moreni qui rappresentato “esplode e muore” ma dileguando sulla tela immensa della parete irradia ancora di luce propria o riflessa. Dissolve dal verde iniziale della natura al bianco livido dell’irradiazione, sfuocato in una luce quasi irreale e metafisica con qualche tocco di ocra e di pastello. Dal livore conclamato della terra a una levità e leggerezza inaspettate l’artista chiude così in un cerchio perfetto la sua visione della natura da quella verdeggiante e espressionista della tela iniziale a questa eterea e  dileguata dell’ultima versione.

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