“La fotografia
può solo essere prodotta nel presente, è basata su ciò che esiste
oggettivamente . Registra la vita in tutti i suoi aspetti come un documento
intriso tuttavia di intelligenza e sensibilità.” Con tale inciso si presenta a noi il tracciato complesso di
vita e d’arte, di impegno politico e ardore estetico della fotografa Tina Modotti,
donna libera e anticonformista, artista e modella che insieme a Edward Weston e
gli altri protagonisti dell’avanguardia messicana attraversa e segna la storia
del novecento nel suo modernismo fotografico. Palazzo Pallavicini a Bologna le
dedica una retrospettiva visitabile fino al prossimo 16 febbraio, un percorso
espositivo articolato in varie sezioni tematiche che mostra al pubblico le diverse
sfaccettature di una fotografa obbiettiva come volevano i modernisti ma
estremamente intimista; dal puro intento estetico di inizio XX secolo
l’immagine assume una dimensione più propriamente politica implicitamente
intrisa di un’etica umana e sociale soggiacente.
La Modotti, italiana
d’origine, immigrata insieme alla famiglia negli stati Uniti per tentare la
fortuna in America, approda a Los Angeles diciassettenne dove incontra e sposa
il poeta Roubaix che la introduce al milieu artistico e intellettuale autoctono.
Appassionata di fotografia entra presto in contatto con il fotografo americano
Edward Weston con il quale inizia un’intensa relazione professionale e
personale che culminerà nel luglio del
1923 con il loro trasferimento in Messico, lei inizialmente nel ruolo di sua
assistente e modella. Dunque, il periodo messicano vede l’incontro con
l’avanguardia artistica del paese, tra cui Diego Rivera, Frida Khalo, gli
intellettuali protagonisti della rivoluzione messicana in corso. Fondamentale
l’incontro con Weston che persegue nel tempo anche dopo la fine della loro
relazione personale attraverso un fitto scambio epistolare e la reciproca
influenza a livello umano e artistico dando vita a uno dei capitoli più
affascinanti della storia della fotografia nel XX secolo.
Tina comprende presto che la fotografia può divenire,
oltre la sua dimensione estetica
insostituibile, uno strumento di indagine e denuncia sociale, contribuendo
anche a mettere in luce la realtà attraverso le sue pieghe o i suoi risvolti più
intimi là dove lo scatto resta, tuttavia sempre, una resa poetica, simbolica
del reale. I ritratti, i volti si susseguono per esempio nel corso della
produzione fotografica lasciando posto alla vicenda umana prima che all’oggettività
fotografica pura. Tina fotografa per esempio sé stessa giovanissima nel
frangente doloroso della perdita del compagno, il rivoluzionario cubano Antonio
Mella. Fissa il suo volto in quel momento unico e irreversibile stravolto dal dolore e dall’impronta oscura
della morte, poi in un’ultima foto il volto assassinato di lui con l’intento di
“conservarne una traccia”: nell’immobilità di un istante fissarne lì ancora la
memoria, sulla pellicola fotografica, per
strapparlo dall’inevitabile oblio. Vediamo, di seguito, il ritratto della
madre, degli amici artisti e personalità straordinarie a lei prossime, di gente comune infine, dei
grandi protagonisti della rivoluzione messicana parte della sua cerchia di
conoscenze. La fotografia si vuole, secondo la Modotti, strumento poetico e politico
insieme per non solo rivelare ma anche per intervenire sulle vicende del mondo ricomponendo
la loro linea frammentata e interrotta entro una memoria condivisa.
Istantanee fotografiche
Sono i volti e i gesti quotidiani della gente comune che
circonda Tina Modotti in Messico nella realtà a lei contemporanea per questa
serie di istantanee, alcune straordinarie, scattate tra le donne di
Tehuantepec. Lo sguardo rivolto a quel mondo
semplice, primario e vitale fatto di braccianti, bambini e
soprattutto donne nei villaggi messicani
appare empatico, idealizzante oltre ogni riproduzione realista come fossimo di
fronte a un luogo fuori dal tempo e
dallo spazio, anacronistico: una società immobile, avvolta da una certa
bellezza da cui trarre ineguagliabile linfa vitale per la fotografa.
In una delle immagini della serie una donna di Tehuantepec
porta con estrema dignità e fierezza un
vaso sulla testa dipinto a mano con frutta, fiori e altri motivi floreali
derivanti dalla tradizione messicana. La blusa ricamata e la collana fanno
presumere la sua appartenenza a una classe sociale elevata. Indossa l’abito
tradizionale della regione segno di orgoglio e potere per le donne in questo
villaggio di discendenza matriarcale. Il suo volto incarna una bellezza epurata
e ideale sottratta dai segni della miseria, della fatica o dell’arretratezza di
una presumibile tale condizione di vita. Mostra, al contrario, la fierezza di
quello sguardo ma anche di quell’abito tradizionale che incarna la forza e
l’indipendenza femminile a Tehuantepec. Modotti in quell’immagine riesce ad
estrarre l’essenzialità di un singolo volto elevato a simbolo del femminile in un
villaggio dominato da sole donne viste nella loro estrema dignità esistenziale.
Nella foto successiva quelle stesse donne lavano i panni nel
fiume di Tehuantepec; le azioni del quotidiano insite nella propria realtà sociale
oltre la semplice idealità estetica danno vita a un nuovo realismo
poetico. Lavare i panni al fiume,
trasportare una brocca sulla testa, tenere un bambino tra le braccia mentre portano
l’acqua , tutto ciò diviene parte di una composizione fotografica d’insieme attraverso
dettagli visivi che narrano una nuova poetica del quotidiano.
Mefamorfosi
Le architetture e le visioni di oggetti o di altre forme
della natura portate verso la loro massima essenzialità appaiono in alcuni
scatti suggestivi della Modotti certamente per l’influenza della poetica
modernista incarnata dalla personalità di Edward Weston. Tuttavia, nella
fotografa tale filone si sposta sempre più verso una ricerca di equilibrio
interiore che utilizza la forma come mezzo per veicolare la propria personalità
e successivamente anche il riflesso di importanti tematiche sociali.
“Rose”
E’ la delicatezza di queste rose dischiuse e fiorite, riprese in primissimo piano nella foto in bianco e nero per cogliere la bellezza di un istante, fuggevole, transitorio come la vita: il momento in cui i boccioli si aprono a piena fioritura, espansi, qui pienamente fioriti e subito destinati ad appassire nella fugacità della loro bellezza. La messa a fuoco, precisa, diretta ed essenziale in primissimo piano esalta la naturale sensualità delle forme che si dispiegano nitide e assolute nel contrasto chiaroscurale in quella ricerca di idealità e astrazione che appartiene all’estetica moderna. Eppure, nell’immagine successiva della Modotti il fiore di una pianta simile a un cactus espanso e modellato a forma umana si trasforma in una piccola mano capace di afferrare la vita ergendosi dal centro verso l’alto della pianta nel miracolo della primavera che sempre si ripete.
“Mani”
Appaiono in primo piano, legate, immobilizzate da una morsa
di legno e altri fili di acciaio nell’impossibilità di muoversi ma, anche,
arse, consunte dalla durezza del lavoro quotidiano, infrante dalla miseria e
dall’oppressione delle classi più umili come il loro dettaglio ci mostra in
primissimo piano al centro dell’immagine. Compare qui il tema sociale passando
dalla semplice ricerca estetica sul dettaglio ingrandito dell’oggetto alla
denuncia sociale là dove tale scorcio fotografico su mani infrante dalla fatica
e rese schiave dall’oppressione rinvia al tema politico di cui Tina si fa
portavoce. Operai, donne e contadini alla ricerca di libertà rivendicano con
forza i propri diritti come voleva la rivoluzione messicana di cui in alcune
altre emblematiche immagini_ “chitarra, falce e cartucciera” per citarne una_ la
fotografia della Modotti si rende strumento di propaganda politica.
La vita e l’arte in tutto il lavoro di Tina Modotti non
possono essere scisse in alcun modo, dalle celebri fotografie in cui si presta
come modella e musa ispiratrice per Edward Weston negli anni venti a quando,
più tardi, vestendo i panni della fotografa continua a rappresentare sé stessa
e la scena artistica e culturale del paese. Immortali restano, tutt’oggi, i
nudi di Tina scattati da Weston in
Messico sulle spiagge dell’Azotea (1924) dove il fotografo conduce a sua
massima espressione la ricerca formale di perfezione estetica, purezza espressiva
ed essenzialità raggiunta attraverso il mezzo fotografico. Weston restituisce
qui l’idealità di un corpo femminile disteso con le sue linee flessuose sulla
spiaggia dell’Azotea, marcato da profondi chiaroscuri, illuminando di lei
quell’aspetto misterioso di “sensualità velata di melanconia”, attraverso uno
sguardo puro, sprovvisto di ogni volgarità. Tale perfezione ha reso queste
fotografie ancora oggi immortali citando implicitamente i nudi femminili di Modigliani o Monet.