sabato 24 marzo 2012

"Superfici Sensibili", (liberamente suggerito dalla fotografia di Sabrina Biancuzzi, Voz galerie, Parigi)


  “Le forme si cancellano e non resta che un sogno, un abbozzo lento ad apparire su una tela dimenticata che troverà compimento, conclusione solo grazie al lavoro del ricordo”.(C. Baudelaire) 


















 “Débordement”: derivare, versarsi, espandersi oltre i propri confini, liquefare;
quello che supera le forme, nell'impossibilità di dire altrimenti, nella necessità di sfiorare, avvicinare l'ineluttabile della cosa. La materia rifluisce, naufraga, é fatta deviare, sottratta ad ogni effetto di realtà della quale porta in sé, tuttavia, la prima impronta.                         

  La materia rifluisce da ogni alchemica distruzione, l'alone che porta in sé, che proietta intorno , l'aurea che la costituisce e la irradia, se pure oscurata, obliterata dalla polluzione circostante, insorge, risorge, fa sorgere altre sovra-esistenze, superfici sensibili di re-iscrizione che si riallacciano a immagini fluttuanti  di un fuori realtà, fuori-coscienza . 

Come scorrimenti d'acqua o l' invisibile rifluire del respiro attraverso il corpo, le forme nella fotografia di Sabrina Biancuzzi tendono a cedere lentamente i propri confini, si lasciano sedurre, riassorbire, appena impercettibilmente lasciano andare i loro contorni chiusi, i loro perimetri distintivi in tratti aperti che circolano, aprono, ritrovano l'alone luminoso, l'estensione primaria, aureolare del loro prima senza-forma.


“L’ 'informe non smette di produrre le proprie metamorfosi, i propri ammassi visivi salendo e discendendo come un'onda, lanciandosi e ricadendo, assottigliandosi e moltiplicandosi come animati da questo lavoro paradossale che è la de-composizione, il suo mormorio continuo, la sua esuberanza, il suo movimento ritmico. Da un lato le forme si cancellano, dall’altro riappaiono come qualcosa nell’atto di nascere, un abbozzo lento a venire sulla tela di qualche pittore attento alle malattie del visibile.” [2]


Un abbozzo lento a venire come questo corpo femminile a metà riapparendo in contro-luce sulle coltri d'un letto. Da un lato è un dileguare, dis-fare il contorno, la forma, il finito-definito fino a renderlo irriconoscibile, fino a farlo tornare al fondo irradiante del suo campo visuale primo; dall'altro è reiscrivere tale deriva come superficie sensibile. “Survivances [3]” é ciò che messo a morte, disfatto, spinto indietro come figura o realtà non smette di ritornare, proliferare, rifluire vestendosi d'un nuovo alone di visibilità, a volte di incandescenza, dandosi in un nuovo ordine del visibile. Volto, dunque, é diluizione, la figura alone luminoso, dettaglio di un qui-basso divenuto tonalità, totalità di un inconoscibile “là fuori” . 

La superficie-immagine é tessuto, nuova estensione manifestandosi nell’ordine dell’informe.                          De-forma: compulsione al movimento dei tratti dell'immagine, ad aprire in circolarità contro contorni che chiudono, isolano, separano nella metafora del tessuto morbido, fluttuante come seta per eccellenza. Metamorfosi fotografiche nascono da tali tessiture incoscienti, . L'eterno presente del loro darsi él'istante che sopravvive al fondo della loro memoria storica.























Serie “She”


Piccoli frammenti estratti, rubati all’anticamera dell’inconscio, singoli respiri o istanti colti, rinchiusi come farfalle in scatole di plexiglass  sono restituiti nella serialità d’una compulsione a ripetere  del meccanismo psichico, 

in tale  necessità di aggiungere, rifare, serializzare, continuare fino a liberare nel processo fotografico associazioni aleatorie di immagini, corrispondenze visive, momenti fugaci sconfinando oltre la percezione ordinaria.  Sogno, incubo, ricordo, surreale, immaginario, fluttuante oltre i limiti di coscienza o realtà.

Esclusivamente in bianco e nero,
nel sogno, nel sonno, figure o dettagli di corpi femminili, nudi in tagli laterali, paesaggi in uno spazio-tempo immobile. Vediamo neve, alberi, un selciato di fogliame scintillante sotto la pioggia, distese bianche aprendosi  a raggiera, a ventaglio, a estensione immobile verso una terza dimensione, fuori da ogni temporalità storica.
Associazioni totalmente arbitrarie del pensiero si traducono in strutture oggettive di corrispondenze, in immagini poetiche , scritte o fotografate, poste in un fuori tempo immobile rinviando a forme archetipiche universali, innate, all’umano.


“Catture di  Sogni”

Rinviano alla stessa captazione/ creazione d’un mondo di sogno, d’apparizioni di invisibilità, d’immagini che flirtano, fluttuano si affacciano, fugaci nell’anticamera dell’inconscio. Ricorrente la sfocatura intenzionale in bianco e nero, l’immagine é un piccolo quadro incorniciato su fondo  bianco;  tante piccole finestre, inquadrature, quadri s’animano, s'aprono cosi' sulla parete bianca e liscia di realtà. Le incursioni o discese nel mondo sotterraneo, retro-stante si danno, giustamente, come apparizioni-catture di qualcosa dell’ordine del “sottile”, del fugace o ineffabile, apparizione d’un archi-memoria passando da un reale soggettivo, personale a un atemporale, 
inventato, pre-figurato, post-scritto, posto come visibile.

Scrive Georges Didi-Hubermann : “Bisogna aprire gli occhi, dunque, su tutto quello che accade ma, anche, saper chiudere gli occhi per lasciar venire a sé tutta un’insieme di relazioni, condensazioni, spostamenti, genealogia inosservabile ad occhio nudo. [1]” Aprire gli occhi, dunque, per rendersi attenti, per analizzare, osservare, comprendere l’oggetto del nostro sguardo ma, anche, saperli chiudere per meglio sentire quello che aleggia intorno ad esso, quello che emana come un alone luminoso nel gioco di reminiscenze. Chiudere gli occhi per lasciar venire a sé agglomerati di nebulose indistinte, configurazioni moventi d’immagini viste in serialità, nella voluta diluizione dall’una all’altra, nelle metamorfosi intime, segrete che instaurano rispetto all’oggetto di realtà dal quale derivano, nelle libere associazioni che evocano . Agglomerati o costellazioni fantomatiche, affare di diluizioni, metamorfosi, di tessuti che si dispiegano, di dissimulazione della figura per far comparire la sua prefigurazione archetipica come un’immagine del sogno o dell’inconscio.

Pulsione al movimento dei tratti, al dileguare d’un contorno che chiude, delimita, isola per andare verso la discesa nel mondo del senza-forma.Pulsione all’irradiazione luminosa, all’accecamento nel bagliore d’un istante immobile, giustamente l’istante fotografico che sopravvive al passaggio del tempo storico.

Nella serie “Catture di sogni” di seguito: il tempo che scorre, una pendola appesa in aria, sospesa nell’atmosfera, bambole guardandoci dalla loro sinistra oscurità, apparizioni o de-focalizzazioni di pura luce. Uno sguardo, un volto, sedie su una banchina di stazione sospesa nel vuoto, una panchina solitaria in mezzo a un parco, tazze di tè lasciate al varco di luce che le trattiene,  l’istante effimero della cosa contro il passaggio seriale della fotografia, derealizzazioni di  presenza, un abito estasiato senza corpo, dettaglio di grate, porte chiuse, aperture, passaggi, presagi. E ancora, sono  spazi disabitati riemergenti nella plasticità d’una metamorfosi luminosa, escrescenze di piante e arbusti, bouquet di fiori caduti su una strada deserta.






































 “Dernières songes”

Orditure tese, soffocanti d’arbusti contro tessuti molli di filamenti d’erba,
proliferazioni barocche in  intrecci, in grovigli di rami e nugoli di fiori contro griglie cubiste d'astrazione di realtà.

Pieghe, angoli, spigoli, ripiegamento di tele-maschere

Resistenze, sovra-esistenze sensibili come infiniti modi di dis-fare i contorni della figurazione
volendo far intravvedere attraverso la fotografia “una realtà altra”.


 Un corpo esposto, denudato trasmette il potere di irradiazione della propria pelle,
un viso preso nella lacerazione d’una linea del suo contorno , preso nella dissimulazione del suo tessuto riemerge nel potenziale d’una figurazione impura, a metà cancellata, solo resa possibile nella de -realizzazione di sé.   

“L’istante P”

Serie a colori: qui  sono i fiori, calici di iris, iridescenza, esplosione in primo piano di forme floreali ondulate o coniche sovra-esposte alla luce solarenell’accecamento della sovra esposizione luminosa.
Dettagli di bosco, alberi, erranza, vagare, fuga tra le tessiture boschive, infine pure macchie colorate di fiori trasfusi senza più forma.
Steli blu incenso o argento liquido, fondo rosso incandescente, violaceo o puro bianco.
Sovra-esporre, sovrapporre, mettere un’immagine al contrario, ingrandire un dettaglio, cercare degli effetti di pura materia o puro colore.

“Le Crissement du temps” 

L’increspatura del tempo, reso all’atemporalità fotografica, affascinante perché ti fa piombare in questo mondo di apparizioni sotterranee, di lampi istantanei, bagliore,
divino accecamento dell’istante che ti salva, oppure ti fa sprofondare nel varco senza fondo.
Ti illumina, ti trasforma, porta oltre te stesso, ti fa ascendere , toccare l’istante dell’essere, o ripiombare, caduta nel nero, neri tracciati di nero fumo, e trasmigrazione di visi e corpi.

Impronte di luce, negativo-positivo, fili tesi, un cuscino all’angolo d’un letto, un uomo camminando su una strada umida di pioggia, boccioli, fiori dall’alto d’un ramo ,
un numero su una porta, il tempo che passa, il battito delle ore, il pendulo d’un orologio, una casa persa tra gli alberi, una finestra illuminata, papaveri sullo sfondo d’un quadro incorniciato, un pozzo coperto all’angolo d’un giardino, la cripta d’una chiesa, una maschera, un clown dai tratti malinconici, il volto d’un uomo in meditazione, la stanchezza della fine, riflessi delle cose intatti nella densità immobile delle acque.

Cimitero d’alberi e rami incrociati, foglie secche, a terra cadute, una fonte e guizzi d’acqua intorno. Foglie secche ancora, e occhi chiusi, ombre d’uomini discendono scalinate nell’oscurità, una silhouette ricoperta di nero, barriere che tagliano in linea orizzontale, fiori di campo, sterpaglie, rami d’alberi in reticolo selvaggio.

Sono specchi liquefatti, una cascata di foglie intrecciate su un selciato umido di pioggia,
un volto di tenebre a poco a poco disparendo riassorbito dalla potenza della luce irradiante. 






 [1] Charles Baudelaire, Les Fleurs du mal, cité dans George Didi-Huberman, Ninfa Moderna, Gallimard, 2002, p. 100
[2] George Didi-Huberman, Ninfa Moderna, Gallimard, 2002, p. 100

[3] Ibid., Didi-Huberman, p.106
[4] Idib., Didi-Huberman, p. 127

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