lunedì 29 marzo 2010

Danza contemporanea: "Acqua" Carolyn Carlson, Joby Talbot, Alain Freischer,Teatro di Chaillot, Parigi






Trasposizione della poesia “Acqua” di Carolyn Carlson
“Ciclo infinito di creazione e distruzione”, occhi lavati via dal pianto, scorrimenti d’oceano, di fiumi e di correnti.
Eco di pioggia cade sui nostri visi bagnati, nuvole ricolme d’acqua o di liquidi al punto di colare, liquefare, versarsi in tutte le direzioni.


Trasparenza incolore di melanconia e disillusione;
“Convergenza di riso e pianto”, di quello che inquina e trasgredisce, come di quello che lava e purifica.

Il fluire di sudore, di lacrime e sangue, di tutti i liquidi corporei che ci traversano goccia a goccia distillandosi attraverso le vene.
“Vibrazioni di forze microscopiche”, sotterranee, apparentemente innocue o inesistenti irrompendo incontrollate sull’epidermide della nostra pelle.

Acqua dolce-amara, salata, stagnante o morta; riflessi immobili d’ acqua,
distese d’acqua lagunare arrestate dagli istmi di terra infiltratosi tra i suoi antri a pochi chilometri dal mare.

Acque verdi, stagnanti e ferme, non bonificate come il resto delle terre,
rimaste lì come un residuo lagunare tra la pianura e il mare;
una vegetazione spessa, selvaggia, irta sorta quà e là in modo disordinato come cannette, arbusti, cespugli o piante d’acqua.

Distese troppo stagnanti e spesse, perturbanti e immobili perché un’immagine possa venire a riflettersi, a delinearsi;
specchi d’acqua marina luccicanti e vellutati dove le figure si cercano, si ritrovano, si rispondono.


Acque a riposo, placate e limpide dove ci si ritrova, ci si rifugia, ci si lascia cullare come in un’insenatura o baia naturale scavata dal mare, dalle sue interne correnti.



Rovesci d’acqua improvvisa , piogge violente e inattese, riversandosi contro, cogliendovi impreparati, impregnandovi gli abiti, le maniche e i cappotti contro gli ombrelli che non avevate previsto, facendovi scivolare su un suolo umido sotto le scarpe.

"Liquido organico, dentro i corpi", nei liquori, nei liquidi di sangue, sudore e urine che ci traversano.
Limpidezza, trasparenza d’acqua luminosa e brillante,  violenta e incontrollata.









Immagini scritte dallo spettacolo "Acqua"

Primal
Corpi evanescenti in marcia ipnotica. Avanzano lentamente, si spostano simili a figure anonime nell’oscurità. Fluttuazioni d’ onde simili a onde magnetiche sono caricate d'energia elettrica, luminosa, ondulatoria; rifrazioni incandescenti volgono a nero sullo schermo di fondo.

Nascita dalle acque: il corpo é lentamente svelato da un involucro, avvolto in un tessuto di nylon bianco, (rilettura indiretta di Botticelli) sollevato e depositato dal bacino d’acqua a terra nella propria nudità,
poi lentamente vestito d’un corto abito nero.
Dischiuso e come avvolto ancora nel calore della nascita.
Luccicante, contro il nero di fondo, la sagoma d'acqua si staglia, incandescente di linee elettriche, sullo sfondo.

Rifrangenze di figure negli specchi si cercano, interrogando le loro immagini contro una distesa d’acqua opaca e senza riflesso.
Là una figura sarà presa in uno spasimo incontrollato, nella scossa frenetica che é anche un battito cardiaco esteso nel tempo e nello spazio, nello sforzo doloroso di venire alla luce,
di nascere a sé stessa. Vista in posizione embrionale, completamente avvolta, raccolta al centro.

Lo stesso ansito ritorna trasformato in un altro quadro, l’acqua profonda, deep water distruttrice, associata alla morte, all’annegamento: la forza violenta, incontrollata che l’acqua sembra celare in sé in un altro frangente.
E' il ripiegamento doloroso, la pazzia improvvisa che afferra un corpo un istante e, insieme, il dolore, l’inesorabilità iscritta in tale evento.
L’essere afferrati da un impulso costringente, molto più antico della ragione, l’istante che vi afferra trattenendovi sul margine di un abisso.


Morte per acqua. Annegamento; rivisitazione del mito d’Ofelia rivisto attraverso la pittura simbolista.La figura femminile è sollevata, portata dai due danzatori e poi trattenuta come sul punto d'essere gettata. Seta, velo, velluto, duttilità estrema della figura ripiegandosi, lasciandosi scivolare, scorrere, fluire, in una sorta di apertura o disponibilità, senza difese.
Ora si abbandonana in una figurazione di dolore ora scivola in una morbidezza infinita e come soggetta all’infinità di un’altra forma .


Acqua come sorgente, fonte di vita. Scorrimento di ciò che libera l’immaginazione, la staticità di tutte le forme in una sorta di infinità del movimento.
 Sono i gesti ampi, selvaggi, liberatori della danzatrice di fronte a un catino di stagno vuoto, immergendo le mani e i polsi, sollevandoli nell’atto di rompere catene o vincoli opprimenti che serrano il corpo a terra impedendogli ogni movimento.
Oppure ancora, é la figura tesa, distesa, allungata nelle braccia e gambe come fosse un corpo elastico, plastico, surreale portato al limite delle proprie possibilità espansive da due partner complementari che lo tendono nello spazio.

L’acqua nutre e libera l’immaginazione, il fluire liquido del pensiero, di gesti inscritti in una memoria antica dei corpi ma é anche l’immagine di impulsi violenti, distruttivi, innati nella forma di queste scosse ritmiche o pulsioni ripetute che prendono atto e si impossessano degli individui in modo incontrollato, agendo dal fondo dell’umano.
Pulsioni di vita e di morte strettamente legate, serrate l’una all’altra in una sorta di passaggio ininterrotto in quadri analogici e successivi.


Violent waters, coreografia collettiva, in un primo tempo investendo unicamente la forza del principio maschile, personifica l’oceano come forza primordiale, insorgente dalle acque,
qui scavando in una sorta di wild instinct vissuto in forma singolare per ogni danzatore. Riemerge come forza dell’eros nell’incontro tra il principio maschile e quello femminile, in onde convulse e gesti avvolgenti nell’incontro fisico tra uomini e donne.



Pure waters, l’acqua purificante della conclusione.

Lacrime e sale dell’oceano, città distrutte da carri armati, guerre impersonali.
La sospensione visiva dell’immagine video, aperta, analogica, slegata, lascia circolare il pensiero resistendo a ogni facile identificazione contro la logica dell’incatenamento narrativo.

Una serie di figure si aggirano simultaneamente sulla scena in rapporto diverso all’acqua:
dal disseccamento per assenza d’acqua, al gesto estremo di dissetare qualcuno facendogli trangugiare a forza violenti sorsi d’acqua, immergendolo malamente per rigenerare un corpo privo di vita.
Una figurina vestita in nero si aggira spasmodicamente sulla scena in diverse entrate e uscite successive.
Un corpo femminile chiuso dentro un antro di vetro trasparente é visto danzare dentro un tubo verticale in nylon richiudendosi sopra di lui.
Ritmo lento, dolce-amaro, ipnotico e avvolgente nel silenzio che divora.
Un’altra danzatrice lotta per venire alla luce, per emergere dalla plastica di nylon che ricopre e serra a metà il suo corpo nudo.

Oceano: l’asprezza amara del sale ma anche il sapore dolce del miele sulle labbra;
invocazione a un’acqua purificante, lavare via gli esseri dalle scorie che li insidiano, li assediano, li deteriorano;
anelito a una purezza ritrovata.
Strascico rosso come d’un nastro disteso a terra, figura femminile intessuta avvolgendosi in ampi gesti di risveglio.







Nessun commento:

Posta un commento