domenica 11 ottobre 2009

Fotografia e inconscio















L’immagine fotografica come traccia[1].
L’impronta é semplice attestazione di un passaggio, la traversata fugace di uno specchio, qualcuno precipitatosi frettolosamente in un luogo senza aver assicurato l’atto della sua presenza. Non risulta dal desiderio di un’iscrizione ma solo della messa in contatto tra un oggetto e una superficie ricevente. La traccia attesta, al contrario in chi l’ha lasciata, il desiderio di realizzare un’iscrizione permanente, la vera e propria presenza della Cosa in sé, materializzazione attraverso i segni di un corpo o quelli impressi su una tela;
il passaggio, ancora, dal negativo di una camera oscura al positivo di una superficie riflettente.
E’ come "l’eterna dichiarazione d'amore" d'un corpo danzante preso nella continuità del movimento, abbandonanato al ritmo segreto delle sue leggi secondo un fantasma di inclusione arcaica.

Lasciare una traccia, opaca, indecifrabile o non immediatamente leggibile, sia essa grafica, fisica o visiva, fotografica o danzata, è tentare di iscrivere, in permanenza l’espressione di quel primo desiderio. Cercare precisamente questa concordanza o “ adeguazione fisica del sé alla struttura ritmica del mondo"[2].

Quello che il soggetto lascia volontariamente intravvedere di sé in una traccia,
quello che in essa a sua volta lo sorprende, lo afferra, lo rivela
nell'apertura inaspettata che non sapeva di possedere.

In fondo a ogni immagine si cerca una presenza a sé, un proprio riflesso al mondo. Il desiderio di costituire un’immagine dell'altro attraverso la fotografia intesa come specchio riflettente di uno quarcio di reale intriso del collante ideologico che lo sottende, va di pari passo con il bisogno intimo di “provare la propria esistenza”.
Sempre, attraverso la relazione privilegiata all’immagine, il soggetto tenta d'assicurarsi di quel primo sguardo nel quale ha visto per la prima volta la forma del sé riflessa nell'altro, riconoscendo, in questo modo, il suo “esserci", essere là, al mondo, come presenza.
Un doppio movimento risulta, allora, dal lavoro fotografico: ispira il mondo attraverso le sue immagini e si lascia, a sua volta, inspirare da quello. Non é semplice cattura di un oggetto o di uno sguardo ma “ continuità dell’essere e del mondo nella loro reciproca separazione e ri-connessione permanente ”[3].

“Eikon/similitudo” . L'immagine in greco non é somiglianza ma “assemblare frammenti di bello dispersi in natura per comporre l'idea di bello in sé”.
“Similitudo” in latino implica l’idea di somiglianza come l’immagine di una maschera mortuaria ricalcata sul volto dello scomparso. L’imago qui é immediatamente compresa in un rapporto di sostituzione con quello che rappresenta e che resta, tuttavia, irrimediabilmente perso, lontano, irraggiungibile.

Sollecitazione del corpo intero nella fotografia. Per Cartier-Bresson il momento dello scatto é come una “gioia fisica, danza, tempo e spazio riuniti”. Weston parla di sensazioni tattili, di gusto, di odori, perfino delle mutazioni sottili del tempo atmosferico agenti al momento della presa delle sue fotografie più sensuali.



























La luce. Fa della fotografia il luogo privilegiato della trasfigurazione. Se l'immagine fotografica è per eccellenza “scrittura della luce”, essa rimanda, immediatamente, alla metafora di una luce divina come unione tra cielo e terra ricongiungendosi al senso mistico e religioso della rivelazione.
Per il suo rapporto privilegiato alla trasfigurazione la fotografia é tra le arti che sfiorano più da vicino il Sacro; ma, anche, si posiziona in una sfera di estraneità, di impersonalità, se vogliamo in quella distanza che gli permette di arrivare ad un'“apprensione simbolica” del mondo, ad una figurazione astratta del reale.
Fotografando ci si nasconde, si parla attraverso le cose, si manipola attraverso la scelta dei punti di vista, degli angoli, dell’obbiettivo, ma ci si ritrova a propria volta presi, sorpresi di fronte al mistero degli esseri e delle loro forme in mutazione,
sedotti da una bellezza che non ci si attendeva di trovare.


Il rapporto della fotografia alla morte.L'immagine fotografica rappresenta una realtà che é esistita ma che é scomparsa, dandomi ancora l’impressione che sia li’, vivente di fronte ai miei occhi. L'atto di figurare, in un primo caso, svolge un lavoro di separazione dall'oggetto scomparso. Diversamente, si sostituisce alla sua assenza creando un circolo infinito di introiezione dell'oggetto che impedisce implicitamente la sua liquidazione, il suo lutto definitivo. La morte, allora, resta presente nell’immagine, vivente e come rivissuta costantemente attraverso quella.
Esiste, infine, una terza possibilità: la trasfigurazione dell’oggetto fino al punto di renderlo visibile con una intensità che sarebbe stata impossibile cogliere al suo vivente. La luce che irradia la fotografia diventa, qui, metafora della vita interiore dell’ immagine in quanto opposta alla morte dell' oggetto reale che l'ha prodotta.







































L’immagine sfuocata.
E’ segno di una percezione parziale, effimera, inaffidabile del soggetto preso dentro le fluttuazioni della propria vita interiore, immerso nel fluido magnetico del sentire che lo porta, ai margini della razionalità, come in uno stato d’oscillazione costante simile a quella che lo coglie vagando tra il sonno e la veglia,
e ancora spostandosi attraverso il magma denso del ricordo.
L'immagine sfuocata conferisce all’oggetto della memoria una fluidità di contorni simile a quella data dall' intrusione di componenti non visive, sensibili, emotive alla cosa figurata.
Vacilla tra la cancellazione parziale dell’oggetto e il divenire, la sua eterna trasfigurazione.
Se da una parte fissa un’ombra, la finitudine di qualcosa di ineffabile, incerto, allucinatorio dall’altra “testimonia l’infinita fluttuazione delle cose”[4] immerse nel fluido erotico e vitale del loro essere-in-vita.



[1] Serge Tisseron, Le mystère de la chambre Claire, Photographie e Inconscient, Archimbaud.
[2] Ibid., Tisseron

[3] Ibid., Tisseron

[4] Ibid., Tisseron

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