domenica 5 aprile 2009


Ogni arte cerca una radice, si sposta sottilmente verso una frontiera mobile,
un limite instabile, qualsiasi esso sia da un linguaggio all'altro,un limite mai dato ma che sempre si allontana man mano che ci avviciniamo e gli tendiamo la mano come in un gioco di specchi deformanti, d’ombre che ci chiamano e ci spingono indietro a uno stesso tempo.
La poesia ritorna alle radici della lettera; in teatro si prende quel fantasma alle radici e lo si mette in scena fino a che il linguaggio risuoni insieme ad esso nello spazio.
La danza é a uno stadio ancora più primitivo perché scava alle radici dei corpi nei loro modi d’esistere, di ricordarsi, di entrare in relazione gli uni con gli altri, in tensione anche tra loro.
Riporta “l’avvenimento”
[1]dell’esserci in un tempo e in uno spazio reali;
restituisce visibilità, potere, autonomia al nostro corpo anche al rischio di sottrargli temporaneamente la parola.
Lavora con il “sentito”, il “percepito”, il muovente, il mosso, il rimosso, il trattenuto di tale avvenimento.
Luogo in cui il corpo si rivela sensibilmente;
un corpo a cui “accade”
[2] d’essere attraverso la danza.

Lo stesso respiro primordiale nella voce, nella scrittura, nella danza.
Siamo messi di fronte a una certa impossibilità: continuare a vivere e a muoverci malgrado questa impossibilità, si, a muoverci esattamente prendendola di contropiede questa forza restringente, un’ impossibilità che non si sa nemmeno come dirla se non_
la vaga sensazione di qualcosa, sensazione che ci lascia vuoti, delusi, scostanti, feriti.

Ci troviamo di fronte a questa cosa dell’ordine dell’impossibilità, là dove non ci sono parole_ dove parlare e tacere si scambiano vicendevolmente.
Abbiamo troppe parole e nessuna forma a prestargli.
Siamo messi di fronte a questa impossibilità;
barriere si ergono da ogni parte ai nostri piedi,
la forza d’inerzia ci inghiotte lentamente.
Resta un’apertura improvvisa, rivelatoria, gioiosa: quando il movimento resta un’apertura del corpo preso di fronte alla sua impossibilità; come prendendola contropiede questa cosa che ci lascia immobili, feriti ed é li’ tutto il tempo.
Una ligna virtuale di scrittura messa in gesti: inventiva, innovativa, via d’uscita, di soccorso d’avanti all’impossibile, l’indicibile.


[1] Cfr. Laurence Louppe, Poétique de la danse contemporaine, la suite, Bruxelles, Contredanse, 2007
[2] Ibid ;,

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