domenica 4 maggio 2025

Alphonse Mucha/Giovanni Boldini tra Art Nouveau e ritratto ( a Palazzo dei Diamanti, Ferrara)

 

Le opere di Alphonse Mucha e Giovanni Boldini creatori di una inedita visione della bellezza al femminile ricompaiono in un faccia a faccia affascinante a Palazzo dei Diamanti presentandoci le loro figure di donne libere, eteree e seducenti agli inizi del ‘900 insieme un linguaggio artistico ispirato a forme naturali agli antipodi delle nuove avanguardie moderniste della stessa epoca. Boldini, ferrarese d’origine era già noto e ammirato nella capitale francese soprattutto per il genere del ritratto in cui eccelleva; Mucha, slavo di provenienza approdò lì nell’autunno del 1887 per  affermarsi rapidamente e spopolare con il suo stile decorativo definito “Art Nouveau”.  Mucha ammirò le opere di Boldini all’Esposizione Universale di Parigi del 1900 alla quale lui stesso prese parte commissionato dal governo austriaco per la decorazione del padiglione bosniaco. Al di là della conoscenza diretta tra i due artisti e le loro singole opere che si incrociano trasversalmente nella capitale parigina, possiamo riconoscere  un’ispirazione comune incentrata sul tema della bellezza o meglio di un ideale femminile  che attribuisce alla donna una dignità e libertà nuove fino ad allora negate dalla società.






Sia le forme aggraziate e seducenti   del corpo femminile che linee sinuose della natura guidano lo sguardo dei due artisti  e costituiscono il punto focale da cui scaturisce la loro nuova visione, sempre e comunque di ispirazione antropomorfa e non astratto-geometrica come voleva tanta arte moderna dello stesso periodo.

Alphonse Mucha: donne, icone e muse

Giunto a Parigi alla fine dell’Ottocento Mucha, inizialmente illustratore di libri e riviste, assorbe il fervore artistico della capitale elaborando a poco a poco un nuovo linguaggio visivo, detto “art nouveau” destinato a rivoluzione la grafica moderna. La svolta avviene nell’incontro con l’attrice Sarah Bernhardt che impressionata dall’intensità espressiva delle sue composizioni gli commissiona la realizzazione di manifesti e locandine per i suoi più noti spettacoli.  Come la Bernhardt afferma Mucha aveva il dono straordinario di saper ritrarre “l’animo dei personaggi”,  quell’ispirazione tragica o poetica che l’attrice mirava a espandere all’ennesima potenza con la sua interpretazione sul palcoscenico. Sono eroine tragiche come Medea di cui cattura l’angoscia e la disperazione nel gesto omicida verso i figli, oppure figure eteree, dall’aurea spirituale e il capo coronato di gigli in netto contrasto allo sfondo come in “Princesse Lointaine” o “La Samaritaine”.  

Nell’arco dei vent’anni successivi Mucha continuerà a lavorare su manifesti, più di centoventi commissionati per finalità pubblicitaria, che diventeranno vere  e proprie icone dell’Art Nouveau. L’oggetto al centro dei medesimi resta l’ideale femminile, i colori perlopiù pastello, i contorni marcati sullo sfondo, le composizioni poste  in verticale a grandezza naturale. E’ in quest’ambito pubblicitario  che Mucha ha la possibilità di sperimentare liberamente con nuove modalità comunicative creando per citare un esempio tra i molti la grafica per il prestigioso marchio di champagne Moet&Chandon. In questo senso, Mucha può essere visto come uno degli iniziatori della grafica pubblicitaria moderna influenzando tutta la comunicazione successiva con i suoi motivi floreali, linee fluide e dettagli decorativi  che annullano la barriera tra ricerca estetica e finalità commerciale.


Installazione “ I fiori di Mucha”




I fiori sbocciano, emergono in superficie e si aprono dagli sfondi dei quadri o dei manifesti magnificati dall’immagine digitale animata, tridimensionale quasi, espandendo verso di noi dalle pareti della saletta. Irradiano insieme ai colori pastello i volti animati dei ritratti. Essi prendono vita di fronte ai nostri occhi immergendoci letteralmente nella particolare atmosfera dei quadri, quella visione spirituale  con la quale Mucha intendeva esaltare il potere del femminile attraverso l’aurea di un volto, una figura immersa in una dimensione unica che la rende icona moderna. Idealizzata ed espansa attraverso l’installazione sulle quattro pareti  della  stanza come in un mondo di sogno ad occhi aperti nel quale noi visitatori siamo chiamati a entrare fisicamente, lasciarci trasportare con il corpo e i sensi tutti in una vera e propria esperienza immersiva.

Spiritualismo e ritorno in patria

Accolto nella Massoneria nel 1998 il lavoro di Mucha diviene nel corso degli anni sempre più impregnato di una dimensione spiritualista che sfiora la teosofia e il misticismo come denota il volume illustrato  del 1899 “Le Pater” pubblicato in esclusivamente in 510 copie numerate come reinterpretazione del Padre Nostro. Compaiono nelle illustrazioni scene di apparizioni messianiche come una figura irradiata di luce che offre dall’alto una chiave di svolta a un’umanità prostrata, piegata su sé stessa e incapace di reagire;  tale, l’esortazione al progresso morale del genere umano. Nella visione di Mucha l’arte non può essere “nuova” o moderna secondo un’effimera  idea di cambiamento perché per sua natura essa deve contribuire alla crescita spirituale dell’umanità vale a dire elevare lo spirito attraverso l’armonia e la bellezza a un esito superiore. Come egli afferma: è necessario “accendere di luce il cammino del mondo”, una luce imperitura in grado di far risplendere l’essere umano portando in sé un valore immutabile e eterno.  


 Epopea slava

Nel 1910 Mucha decide di rientrare definitivamente in Boemia dopo anni di assenza per realizzare forse il sogno di una vita: rendere la propria arte strumento di espressione e lotta per il proprio popolo affermando valori libertari e nazionalisti in primo luogo l’indipendenza dall’impero austro-ungarico. Tale tema è perfettamente rappresentato dalla tela “ Canto boemo” (1918) dove tre giovani donne compaiono nella loro sensualità sullo sfondo bucolico di una collina in abiti tradizionali boemi incarnando i valori di libertà e patriottismo.  “L’artista deve insegnare al popolo ad amare la bellezza” scriveva Mucha a proposito della sua visione estetica, e tale appare il senso ultimo del monumentale ciclo pittorico, “Epopea Slava”: narrare i momenti fondanti della storia slava dal III al XX secolo in un grandioso racconto per immagini che esalta i valori di libertà e progresso per una nazione di lì a poco nascente.

Lo “stile Mucha” con il suo linguaggio artistico innovativo ispirato alle forme della natura attraverso linee sinuose e in movimento trova un corrispettivo perfetto nella coreografia di una delle più singolari ed eclettiche danzatrici di inizio XX secolo Loie Fuller che ammiriamo nel video riproposto alla fine del percorso espositivo. Lì la danza esprime attraverso le linee sinuose  e ondeggianti dell’abito a molteplici veli nonché nel movimento continuo delle braccia nella danzatrice “la meravigliosa poesia del corpo”. Quella stessa bellezza e poesia dominano sulle tele di Mucha, sui suoi volti femminili ora eterei ora ieratici che si stagliano limpidi dallo sfondo. L’art Nouveau raggiunge  con Mucha i suoi massimi esiti per eclissarsi rapidamente oscurata dal filone diametralmente opposto dell’arte moderna fino al secondo dopoguerra e riemergere prepotentemente solo negli anni ’60 fonte di ispirazione per i nuovi artisti della grafica contemporanea.

Giovanni Boldini, il ritratto

Ritrattista di fama internazionale di una generazione precedente a quella di Mucha, Boldini, ferrarese d’origine, si afferma nella Parigi della Belle-epoque  grazie al suo talento straordinario nel restituire il carattere intimo, spregiudicato e disinvolto di una nuova femminilità agli albori del XX secolo mentre le sue figure femminili divengono presto il simbolo di una nuova epoca. Si scorge lì, nella modernità dei suoi ritratti, la percezione di una donna nuova, solitamente sottile o lungi forme vista come attraverso uno specchio rilucente in pochi tratti fluidi ed essenziali che riflettono perfettamente lo spirito vitale e mutato della modernità. Ora avvolta da un fascino misterioso simile a una borghese distante e altolocata, ora in una visione più gioiosa, di vivida giovinezza come in “fuoco d’artificio” (1985). Qui  un abito leggero fatto di drappi bianchi restituisce agli spettatori una ventata di leggerezza.


In uno dei suoi ritratti più noti di Oliva Concha de Fontecilla detto  “La signora in Rosa”( 1916) lo stile incisivo di Boldini emerge nella posa insolita della figura che con audacia protende dal sofà nel quale posa verso lo spettatore nella giovinezza e vivacità del suo sguardo, scintillante e acuto. Come il colore rosa dell’abito scollato ed elegante che Oliva indossa la donna abbraccia la vita mostrando un’ inedita audacia e libertà all’inizio del  XX secolo. Levità del tratto e seduzione dello sguardo ancora una volta accomunano  Boldini a Mucha, entrambi grandi cantori del fascino femminile qui investito di una nuova idealità moderna.