Le opere di Alphonse Mucha
e Giovanni Boldini creatori di una inedita visione della bellezza al femminile ricompaiono
in un faccia a faccia affascinante a Palazzo dei Diamanti presentandoci le loro
figure di donne libere, eteree e seducenti agli inizi del ‘900 insieme un
linguaggio artistico ispirato a forme naturali agli antipodi delle nuove
avanguardie moderniste della stessa epoca. Boldini, ferrarese d’origine era già
noto e ammirato nella capitale francese soprattutto per il genere del ritratto in
cui eccelleva; Mucha, slavo di provenienza approdò lì nell’autunno del 1887
per affermarsi rapidamente e spopolare
con il suo stile decorativo definito “Art Nouveau”. Mucha ammirò le opere di Boldini
all’Esposizione Universale di Parigi del 1900 alla quale lui stesso prese parte
commissionato dal governo austriaco per la decorazione del padiglione bosniaco.
Al di là della conoscenza diretta tra i due artisti e le loro singole opere che
si incrociano trasversalmente nella capitale parigina, possiamo riconoscere un’ispirazione comune incentrata sul tema
della bellezza o meglio di un ideale femminile che attribuisce alla donna una dignità e libertà nuove fino ad allora negate dalla società.
Sia le forme aggraziate e seducenti del corpo femminile che linee sinuose della natura guidano lo sguardo dei due artisti e costituiscono il punto focale da cui scaturisce la loro nuova visione, sempre e comunque di ispirazione antropomorfa e non astratto-geometrica come voleva tanta arte moderna dello stesso periodo.
Alphonse Mucha: donne, icone e muse
Giunto a Parigi alla fine
dell’Ottocento Mucha, inizialmente illustratore di libri e riviste, assorbe il
fervore artistico della capitale elaborando a poco a poco un nuovo linguaggio
visivo, detto “art nouveau” destinato a rivoluzione la grafica moderna. La svolta
avviene nell’incontro con l’attrice Sarah Bernhardt che impressionata
dall’intensità espressiva delle sue composizioni gli commissiona la
realizzazione di manifesti e locandine per i suoi più noti spettacoli. Come la Bernhardt afferma Mucha aveva il dono
straordinario di saper ritrarre “l’animo dei personaggi”, quell’ispirazione tragica o poetica che
l’attrice mirava a espandere all’ennesima potenza con la sua interpretazione
sul palcoscenico. Sono eroine tragiche come Medea di cui cattura l’angoscia e
la disperazione nel gesto omicida verso i figli, oppure figure eteree,
dall’aurea spirituale e il capo coronato di gigli in netto contrasto allo
sfondo come in “Princesse Lointaine” o “La Samaritaine”.
Nell’arco dei vent’anni
successivi Mucha continuerà a lavorare su manifesti, più di centoventi
commissionati per finalità pubblicitaria, che diventeranno vere e proprie icone dell’Art Nouveau. L’oggetto al
centro dei medesimi resta l’ideale femminile, i colori perlopiù pastello, i
contorni marcati sullo sfondo, le composizioni poste in verticale a grandezza naturale. E’ in
quest’ambito pubblicitario che Mucha ha
la possibilità di sperimentare liberamente con nuove modalità comunicative
creando per citare un esempio tra i molti la grafica per il prestigioso marchio
di champagne Moet&Chandon. In questo senso, Mucha può essere visto come uno
degli iniziatori della grafica pubblicitaria moderna influenzando tutta la
comunicazione successiva con i suoi motivi floreali, linee fluide e dettagli
decorativi che annullano la barriera tra
ricerca estetica e finalità commerciale.
Installazione “ I fiori di Mucha”
I fiori sbocciano,
emergono in superficie e si aprono dagli sfondi dei quadri o dei manifesti
magnificati dall’immagine digitale animata, tridimensionale quasi, espandendo verso
di noi dalle pareti della saletta. Irradiano insieme ai colori pastello i volti
animati dei ritratti. Essi prendono vita di fronte ai nostri occhi immergendoci
letteralmente nella particolare atmosfera dei quadri, quella visione spirituale
con la quale Mucha intendeva esaltare il
potere del femminile attraverso l’aurea di un volto, una figura immersa in una
dimensione unica che la rende icona moderna. Idealizzata ed espansa attraverso
l’installazione sulle quattro pareti della
stanza come in un mondo di sogno ad
occhi aperti nel quale noi visitatori siamo chiamati a entrare fisicamente,
lasciarci trasportare con il corpo e i sensi tutti in una vera e propria esperienza
immersiva.
Spiritualismo
e ritorno in patria
Accolto nella Massoneria
nel 1998 il lavoro di Mucha diviene nel corso degli anni sempre più impregnato
di una dimensione spiritualista che sfiora la teosofia e il misticismo come
denota il volume illustrato del 1899 “Le
Pater” pubblicato in esclusivamente in 510 copie numerate come reinterpretazione
del Padre Nostro. Compaiono nelle illustrazioni scene di apparizioni
messianiche come una figura irradiata di luce che offre dall’alto una chiave di
svolta a un’umanità prostrata, piegata su sé stessa e incapace di reagire; tale, l’esortazione al progresso morale del
genere umano. Nella visione di Mucha l’arte non può essere “nuova” o moderna secondo
un’effimera idea di cambiamento perché
per sua natura essa deve contribuire alla crescita spirituale dell’umanità vale
a dire elevare lo spirito attraverso l’armonia e la bellezza a un esito
superiore. Come egli afferma: è necessario “accendere di luce il cammino del mondo”,
una luce imperitura in grado di far risplendere l’essere umano portando in sé
un valore immutabile e eterno.
Epopea slava
Nel 1910 Mucha decide di
rientrare definitivamente in Boemia dopo anni di assenza per realizzare forse
il sogno di una vita: rendere la propria arte strumento di espressione e lotta
per il proprio popolo affermando valori libertari e nazionalisti in primo luogo
l’indipendenza dall’impero austro-ungarico. Tale tema è perfettamente
rappresentato dalla tela “ Canto boemo” (1918) dove tre giovani donne compaiono
nella loro sensualità sullo sfondo bucolico di una collina in abiti
tradizionali boemi incarnando i valori di libertà e patriottismo. “L’artista deve insegnare al popolo ad amare la
bellezza” scriveva Mucha a proposito della sua visione estetica, e tale appare
il senso ultimo del monumentale ciclo pittorico, “Epopea Slava”: narrare i
momenti fondanti della storia slava dal III al XX secolo in un grandioso
racconto per immagini che esalta i valori di libertà e progresso per una
nazione di lì a poco nascente.
Lo “stile Mucha” con il
suo linguaggio artistico innovativo ispirato alle forme della natura attraverso
linee sinuose e in movimento trova un corrispettivo perfetto nella coreografia
di una delle più singolari ed eclettiche danzatrici di inizio XX secolo Loie
Fuller che ammiriamo nel video riproposto alla fine del percorso espositivo. Lì
la danza esprime attraverso le linee sinuose
e ondeggianti dell’abito a molteplici veli nonché nel movimento continuo
delle braccia nella danzatrice “la meravigliosa poesia del corpo”. Quella
stessa bellezza e poesia dominano sulle tele di Mucha, sui suoi volti femminili
ora eterei ora ieratici che si stagliano limpidi dallo sfondo. L’art Nouveau raggiunge con Mucha
i suoi massimi esiti per eclissarsi rapidamente oscurata dal filone
diametralmente opposto dell’arte moderna fino al secondo dopoguerra e
riemergere prepotentemente solo negli anni ’60 fonte di ispirazione per i nuovi
artisti della grafica contemporanea.
Giovanni
Boldini, il ritratto
Ritrattista di fama
internazionale di una generazione precedente a quella di Mucha, Boldini,
ferrarese d’origine, si afferma nella Parigi della Belle-epoque grazie al suo talento straordinario nel
restituire il carattere intimo, spregiudicato e disinvolto di una nuova
femminilità agli albori del XX secolo mentre le sue figure femminili divengono
presto il simbolo di una nuova epoca. Si scorge lì, nella modernità dei suoi
ritratti, la percezione di una donna nuova, solitamente sottile o lungi forme
vista come attraverso uno specchio rilucente in pochi tratti fluidi ed
essenziali che riflettono perfettamente lo spirito vitale e mutato della
modernità. Ora avvolta da un fascino misterioso simile a una borghese distante
e altolocata, ora in una visione più gioiosa, di vivida giovinezza come in
“fuoco d’artificio” (1985). Qui un abito
leggero fatto di drappi bianchi restituisce agli spettatori una ventata di leggerezza.
In uno dei suoi ritratti più
noti di Oliva Concha de Fontecilla detto
“La signora in Rosa”( 1916) lo stile incisivo di Boldini emerge nella
posa insolita della figura che con audacia protende dal sofà nel quale posa verso
lo spettatore nella giovinezza e vivacità del suo sguardo, scintillante e acuto.
Come il colore rosa dell’abito scollato ed elegante che Oliva indossa la donna abbraccia
la vita mostrando un’ inedita audacia e libertà all’inizio del XX secolo. Levità del tratto e seduzione dello
sguardo ancora una volta accomunano Boldini a Mucha, entrambi grandi cantori del
fascino femminile qui investito di una nuova idealità moderna.